Oggi è San Giovanni XXIII, il Papa del Concilio

Mattarella

In milioni di case e su altrettanti cruscotti delle macchine c’è la sua immagine sorridente. La fama di santità di Giovanni XXIII ha preceduto il riconoscimento ufficiale della Chiesa. Nato a Sotto il Monte (Bergamo) nel 1881, pontefice dal 1958 al 1963, il “papa buono” è stato canonizzato nel 2014.

La carezza ai bambini

Per il popolo di Dio Giovanni XXIII è santo da molto prima della sua canonizzazione. “Tornando a casa troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi, specialmente nell’ora della tristezza e dell’amarezza” disse Angelo Roncalli, l’11 ottobre del 1962, giorno di apertura del Concilio Vaticano II, affacciandosi dalla finestra del suo studio, rivolto alla folla arrivata in piazza San Pietro nel famoso “discorso della luna”. Negli annali della storia ecclesiastica rimarrà impresso come promotore del Concilio. “Il rinnovamento auspicato e disposto dal Vaticano II non si limita certo a uno o a qualche ambito del vivere ecclesiale, ma tutto lo coinvolge, trasformandolo dall’interno, in ogni struttura visibile e in ogni iniziativa pastorale – spiega il vescovo Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa ed ex segretario generale della Cei -. Da qui emerge la peculiarità del ventunesimo Concilio ecumenico, convocato da Giovanni XXIII che, come per ispirazione e senza cogliere egli stesso fino in fondo la portata dell’evento, ha avvertito la necessità di radunare simbolicamente tutta la Chiesa, per ripensare il mandato affidatole da Cristo”. E aggiornare la sua azione pastorale ai tempi nuovi dell’umanità.

Dove nasce il Vaticano II

Come ricostruisce il vaticanista Andrea Tornielli nell’introduzione del libro “Il Concilio di Papa Francesco”, Pio XII, a dispetto di certe interpretazioni storiografiche, “è stato un Papa che con il suo magistero ha contribuito ante litteram ad alcune delle svolte conciliari”. Ricordando questo suo predecessore, nell’Angelus del 18 marzo 1979, Giovanni Paolo II disse: “In questo quarantesimo anniversario dall’inizio di quel significativo pontificato, non possiamo dimenticare quanto Pio XII contribuì alla preparazione teologica del Concilio Vaticano II, soprattutto per quanto riguarda la dottrina circa la Chiesa, le prime riforme liturgiche, il nuovo impulso dato agli studi biblici, la grande attenzione ai problemi del mondo contemporaneo”. Giovanni XXIII, com’è noto, nonostante l’età avanzata e dunque l’aspettativa di un non lungo pontificato, decise di convocare il Concilio ecumenico Vaticano II, e lo inaugurò l’11 ottobre 1962, guidandone la prima sessione. “Al presente bisogna che in questi nostri tempi – disse papa Roncalli nel memorabile discorso di apertura dell’assise – l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattutto negli atti dei Concili di Trento e Vaticano I”. Per Giovanni XXIII occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, “come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica”. Quindi “occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi”. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè “le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione”.  Perciò per il Papa buono, va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, va applicato con pazienza; si dovrà cioè “adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale”.

Il senso della missione

“Il nostro lavoro”, chiarisce Giovanni XXIII nell’allocuzione Gaudet Mater Ecclesia, con la quale apre il Concilio, “non consiste, come scopo primario, nel discutere alcuni dei principali temi della dottrina ecclesiastica, e così richiamare più dettagliatamente quello che i Padri e i teologi antichi e moderni hanno insegnato e che ovviamente supponiamo non essere da voi ignorato, ma impresso nelle vostre menti. Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi”. Ora, anche alla luce dei più recenti sviluppi della società attuale, con l’espandersi delle dinamiche globalizzanti e la pervasività del web, portatori di grandi opportunità e insidie, evidenzia monsignor Galantino, “risulta quasi impossibile immaginare la vita ecclesiale senza la svolta impressa dal Concilio, al di fuori della quale, oggi molto più di allora, tante strutture e tante prassi ecclesiali apparirebbero ormai desuete”. Da allora, infatti, la Chiesa è stata inserita in uno stato di continua revisione del suo operato. “È un atteggiamento di conversione interiore che costa fatica, e che in più modi può essere ostacolato e accantonato – osserva il presule -. È più facile, infatti, affermare che ormai il Concilio è terminato ed è stato assimilato; più difficile, invece, è accettare che ancora lo dobbiamo attuare del tutto e che siamo chiamati nuovamente a leggerne i testi e accoglierne le istanze, con spirito disinteressato e libero”.

In continuo rinnovamento

Il Vaticano II ha posto, cioè, la Chiesa in uno stato di Concilio permanente, ricordandole che mai può accomodarsi per compiacersi degli obiettivi già raggiunti, o dichiarare ormai conclusa con successo la revisione dei suoi apparati, del suo approccio al mondo e dello spirito con il quale porge il Vangelo all’umanità di oggi. È, secondo Galantino, “una salutare inquietudine, la stessa che Francesco raccomanda alla Chiesa da quando è stato eletto, e che ci è necessaria per rimanere spiritualmente giovani e gioiosi, e far sì che tutti possano vedere e accogliere la buona notizia, che è il Vangelo”. Nel definire l’essenza della Chiesa e il suo mandato, il numero introduttivo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, la definisce in poche e dense parole, quando afferma che essa “è in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. Solo una Chiesa che pone al centro la misericordia  può essere veramente se stessa, e riscoprendo la centralità dell’amore potrà vivere secondo lo spirito indicatole dal Concilio e farsi vera promotrice di unità. “Tale unità, essa deve realizzarla anzitutto al suo interno, per poterla testimoniare credibilmente e diffondere nella società e tra i popoli- evidenzia Galantino -. Di questo era ben consapevole Giovanni XXIII il quale, anche grazie al suo trascorso di diplomatico, ha sollecitato e accresciuto la sensibilità ecumenica, riflessa nella Unitatis Redintegratio, oltre al desiderio di incontro e dialogo con le religioni non cristiane, espresso nella Nostra Aetate”.

Le parole per l’uomo di oggi

La Gaudium et Spes costantemente sollecita la Chiesa ad aprirsi al mondo; non per perdere la sua identità, ma appunto per trovarla, in quanto essa esiste per la missione”. E la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, precisa il presule, “non è altra cosa rispetto a quella dogmatica sulla Chiesa, ne è invece la naturale prosecuzione e il compimento: essa indica alla Chiesa la via della solidarietà con il genere umano, al fine di adempiere al mandato di Cristo”. Secondo Galantino il Concilio ha potuto dare l’avvio a questo tempo nuovo della vita Chiesa, grazie al suo costante riferimento alla Scrittura e ai Padri della Chiesa. “È così che il Vaticano II ha contribuito a restituire la Chiesa a ciò che per lei è essenziale, l’ha restituita cioè alla consapevolezza del suo essere fatta per vivere ed educare alla vita buona del Vangelo – sottolinea il presule -. Il costante ricorso alla Scrittura e ai Padri della Chiesa ha contribuito in maniera decisa a fare del Vaticano II un vero evento di conversione. Alla luce di questa consapevolezza, dobbiamo affermare che il documento più importante, tra i sedici emanati dal Concilio, resta Costituzione dogmatica Dei Verbum, sulla divina rivelazione”. In essa emerge la necessità, per la Chiesa, di un costante riferimento alla Parola di Dio, che le insegni il suo stile nel rivolgersi agli uomini, e il modo in cui egli ha concepito la comunità dei chiamati da Cristo. “Precisamente in questo rimando continuo alla Parola, che pone la Chiesa in un atteggiamento di maggiore umiltà, di non autosufficienza, bensì di apertura alla missione e al mondo e di continua revisione, trova consistenza il passaggio, invocato e realizzato dal Vaticano II, da una ecclesiologia societaria a una di comunione, da una concezione della Chiesa come societas perfecta a quella della Chiesa come comunità in cammino – puntualizza Galantino -. Proprio il ritorno alla Scrittura e ai Padri della Chiesa, quando è fatto con coerente competenza e senza strumentalizzazioni, è il massimo della garanzia per avviare un cambiamento orientato a una migliore comprensione e trasmissione del contenuto della fede, nel segno di una continuità vera, e non solo formale, con la tradizione ecclesiale precedente”.