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La lunga notte di Bergamo, mons. Beschi: “La morte è ovunque, ho visto gente morire nelle proprie case”

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Suonano le campane della Chiesa di San Pancrazio e le strade di Bergamo Alta si colmano di un suono cupo, profondo. Nella provincia lombarda si contano 5154 positivi al Covid-19. Un numero che testimonia in modo tangibile un’emergenza infiltrata nel quotidiano. È bastato un mese per rimodellare i tratti di una città un tempo produttiva, ora cornice monumentale alla sofferenza dell’intera nazione. Non c’è paese, borgo, città italiana che non abbia dato l’estremo saluto al corteo dei tanti feretri, troppi per una città che ha smesso di contarli. Bergamo è un luogo dove non esistono trincee, ma che ha ospedali che somigliano a campi di battaglia. Ci si può nascondere da un nemico visibile, ma nel caso del coronavirus, l’avversario non si vede. Serpeggia fra le corsie dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, resta sospeso nelle case di chi da tempo non può più uscire. È una città in ginocchio Bergamo, ma le campane continuano a suonare la speranza dell’uscita dall’incubo. Interris.it ha intervistato il vescovo della città, mons. Francesco Beschi.

Il vescovo della diocesi di Bergamo, S.E. Mons. Francesco Beschi
La Diocesi di Bergamo conta 400 parrocchie: come si sente Eccellenza, lei che è il pastore di una comunità così sofferente?
“Questo momento c’è un grandissimo bisogno di vicinanza. Ma questa vicinanza non basta. L’urgenza ha fatto scattare una solidarietà generosamente impressionante. La solidarietà ha poi fatto nascere il senso di prossimità. La diocesi conta 400 parrocchie circa e veramente sto vedendo manifestazioni le più disparate, fantasiose, nuove, per promuovere questa vicinanza. Le parrocchie si sono mosse sui social, con celebrazioni in streaming, con proposte di video e di testi in chat. La stessa diocesi ha del materiale in supporto sul sito www.diocesibg.it e www.oratoribg.it. Tutto questo mi sembra vada nella direzione dell’avvertenza e della consapevolezza che Dio, che pure sta nella prova con noi, non ci sta abbandonando”.
Sono tanti i sacerdoti in terapia intensiva e diversi, ahimè, scomparsi. Qual è la sua riflessione per loro?
“Mi permetta solo di ricordare che dal 1 marzo sono morti 16 sacerdoti per il virus e una ventina sono ricoverati e alcuni sono gravi. Questo è segno di profonda dedizione. Stiamo vivendo questa pena condividendola con quella delle nostre comunità insieme al numero dei contagiati, dei malati e un elevato numero di morti. Non siamo separati dalla nostra comunità nemmeno nel passaggio della morte. La fraternità del presbiterio in questi giorni è forte e profonda. Con tutti i miei sacerdoti sono in continuo contatto e faccio giungere loro messaggi di affetto paterno, di vicinanza, di sostegno, di riflessione e di indirizzo comune sul modo di affrontare insieme la situazione. Siamo in tanti, più di 700, e quindi i canali sono diversi, ma ci tengo ad arrivare a tutti. L’essenziale è sempre gratitudine, affetto, sostegno che si fa preghiera e benedizione. Avverto come le nostre Comunità sono vive, in mezzo a tanti limiti, grazie alla loro fede, al loro ministero e alla loro passione pastorale. Sono convinto che le privazioni che stiamo sperimentando, aprano il cuore alla luce e alla forza dello Spirito Santo, che ci introduce a vie nuove, nuove forme, nuove possibilità. Non dobbiamo avere paura o discrezione eccessiva nel condividerle e narrarle tra noi e il mondo. Abbiamo bisogno di stupirci della fantasia dello Spirito e del coraggio e dedizione dei suoi ministri. I 15 preti che sono morti ci spronano ancor più in una dedizione totale al Signore e all’uomo. La ventina di nostri fratelli ammalati oltre alla preghiera ci fanno unire ancora di più in un legame familiare e fraterno”.
Il momento del trasporto di una salma al Cimitero Monumentale di Bergamo – Foto © Flavio Lo Scalzo per Reuters
Quali sono le sofferenze maggiori per la Diocesi e la provincia tutta?
“Qui, le morti veramente si moltiplicano e per adesso non solo non diminuiscono, ma crescono. Coloro che muoiono sono tanti. Negli ospedali muoiono coloro che sono più gravi, ma molti muoiono nelle loro case e non rientrano nei conteggi ufficiali. Veramente non si sa più dove metterli. Vengono allora utilizzate anche alcune chiese: è un gesto di tenerezza verso persone che muoiono da sole e anche le loro salme rischiano di rimanere accatastate. Che siano in una chiesa è un dono di rispetto e di premura. Tutto questo è accompagnato da sentimenti molto profondi. Mi ha telefonato un sacerdote che ha perso il suo papà, lui è in quarantena, la mamma è in quarantena da sola in un’altra casa. I suoi fratelli sono in quarantena, non si fa alcun funerale, verrà portato al cimitero e verrà sepolto, senza che nessuno possa partecipare a questo momento della pietà umana e cristiana che si rivela adesso così importante perché viene a mancare. Inoltre, quando il malato viene portato via da casa con l’ambulanza e ricoverato tra gli infettivi o in terapia intensiva i familiari non lo vedono più, non lo sentono più, non possono parlargli neanche telefonicamente. Il dolore è immenso. Si avverte allora il dire: ma siamo proprio soli, tutti sono soli?
Recentemente ha ricordato l’importanza della condivisione. È possibile, anche in questo tempo di distanze?
“Mi sembra che in questo momento cresca una condivisione non superficiale. Posso dire che molte persone avvertono e intuiscono quello che avevamo dimenticato: noi ci siamo condannati in questi anni a una specie di auto-isolamento, ognuno pensava per sé. In questo momento che viviamo l’isolamento imposto, noi ci rendiamo conto di quanto sia necessaria la condivisione. Io spero che questo rimanga. Negli ultimi 15 giorni ho visto una generosità crescente da parte di tutti. Oggi siamo nelle nostre case e vedo tessere dei legami di vicinanza veramente significativi. Dentro questo orizzonte è emersa la generosità dei sacerdoti con la sofferenza iniziale di non poter più celebrare la messa con i fedeli. Anche oggi, con tutte le dovute precauzioni, siamo vicini alla gente: sta crescendo molto la relazione attraverso media e social, adesso è l’unico modo che ci permette di essere vicino a tutti. Bisogna fare attenzione perché i tempi saranno ancora lunghi. Chi è malato attende innanzitutto la vicinanza di chi lo può curare e sto vedendo una generosità enorme da parte di medici, infermieri, di coloro che stanno lavorando nei nostri ospedali, nell’ospedale più grande che è intitolato peraltro al Santo Papa Giovanni XXIII, figlio di questa terra. Come piccolo segno di attenzione nei loro riguardi la diocesi ha messo a disposizione 50 stanze in Seminario perché medici e infermieri, lontani dalle loro famiglie sia per il ritmo estenuante dei turni, sia per la paura di contagiare i loro bambini, possano riposarsi nelle poche pause di cambio. Ho poi ricordato e indicato a tutta la diocesi il grande dono che ha ogni cristiano per grazia del Battesimo di essere portatore di benedizione: un padre può benedire i suoi figli, una madre può benedire i suoi cari, i nonni possono benedire i loro nipoti, ma è importante soprattutto nel caso della sofferenza che anche i figli e i nipoti possano benedire i loro cari. E l’ho chiesto con delicatezza e rispetto anche a medici e infermieri: spessissimo in questi giorni nelle corsie vedono morire gente da sola, se percepissero un desiderio sarebbe un dono prezioso che le loro mani potessero offrire anche la benedizione del Signore. I sacerdoti nelle parrocchie cercano di avvicinare i malati ma il problema non è che non ci si può muovere. Inoltre c’è la preoccupazione del contagio: non tanto e solo del sacerdote per sé, quanto piuttosto di non portare il virus insieme con il Signore Gesù, perché il prete potrebbe essere positivo e asintomatico, come molti, ed è così che il virus si diffonde maggiormente. Quindi serve anche prudenza pastorale”.
Come può aiutare la preghiera?
“Supplichiamo per noi, supplichiamo per i nostri cari, supplichiamo per le nostre famiglie, supplichiamo per coloro che in questo momento sono sul fronte difficilissimo della malattia e della lotta al virus, supplichiamo per tutti coloro che stanno collaborando alla sicurezza sociale, supplichiamo per tutti coloro che generosamente si stanno donando per chi è più debole, più fragile, per i più anziani, per le persone sole, per chi è isolato. Supplichiamo il Signore! Nel momento in cui noi ci fidiamo di Dio, questo diventa sorgente per poterci affidare anche gli uomini, questo diventa forza interiore per esercitare tutta la nostra responsabilità. Le nostre preghiere non sono formule magiche. La fede in Dio non risolve magicamente i nostri problemi, piuttosto ci dà un’interiore forza per esercitare quell’impegno che in tutti e in ciascuno, in modi diversi siamo chiamati a vivere, in modo particolare in coloro che sono chiamati a arginare e a vincere questo male”.

 

Che riflessione si sente di fare sulla sua città, culla e insieme erede di Papa san Giovanni XXIII?

“Il sorriso di Papa Giovanni è indimenticabile: non è il sorriso superficiale di un momento, ma è il sorriso che viene da un’esperienza di vita lunga, nella quale la sofferenza non è stata marginale. La natura in questi giorni con i primi germogli di primavera sembra rappresentare l’animo di Papa Giovanni in quell’intensità di amore, in quella dolcezza che abbiamo conosciuto, non come sdolcinata, ma come espressione di un cuore che sembrava non avere limiti e voler raggiungere ciascuno nella sua condizione. Ogni domenica nel Santuario di Sotto il Monte viene rivolta a lui la supplica che in questi giorni gli abbiamo rivolto in modo solenne e particolarmente intenso. Penso che nessuna parola sia più bella che quella della preghiera insieme: San Giovanni XXIII, ci rivolgiamo a te, padre di bontà e di tenerezza, pontefice amato e venerato. Sostieni la nostra fede, guidaci verso il bene, difendici dal male. Confidiamo in te ed imploriamo la tua intercessione per tutte le necessità della nostra Diocesi. Ti affidiamo le persone a noi care, specialmente gli ammalati, i giovani ed i bambini. Dal cielo guarda i tuoi figli, come facesti quella sera di ottobre, e dona la tua carezza a ciascuno di noi e a coloro per i quali ti invochiamo. San Giovanni XXIII, domandiamo la tua intercessione per la Chiesa intera e per la pace nel mondo. Fa’ che possiamo imitarti nelle virtù per servire il Signore in umiltà e obbedienza alla sua volontà come facesti tu per tutta la vita. Amen”.
Marco Grieco: