Editoriale

La strada indicata dal martire Marco Biagi

Domani 19 marzo ricorre il ventesimo anno del martirio di Marco Biagi, il giuslavorista bolognese ucciso dalla brigate rosse, reo di essersi impegnato insieme ad altri riformatori per la modernizzazione delle relazioni sindacali, così  per un nuovo welfare, per l’idea che la necessaria flessibilità del lavoro dovesse essere pagata di più del lavoro ordinario.

A distanza di tutto il lungo tempo che ci separa da allora, nonostante l’opera di Biagi abbia fatto strada nella legislazione, nelle relazioni industriali, nelle infrastrutture di welfare pubbliche e sussidiarie, nella organizzazione dei servizi per domanda ed offerta del lavoro e della formazione, ci sono ancora realtà politiche e sociali che continuano a guardare al passato. Vengono mossi dalla convinzione errata, che mantenendo le vecchie normative di leggi, di contratti, di organizzazione del welfare, gli interessi dei lavoratori vengono meglio tutelati. Dunque secondo costoro, più si boicotta la modernità più si aiuta chi lavora. Ma il lavoro origina da solide imprese, le quali diventano tali se sono competitive nei mercati.

Nella competizione ci si afferma meglio se certamente i fattori dello sviluppo sono efficienti come tasse morigerate, energia a basso costo, servizi all’impresa efficienti, giustizia rapida ed ancora altro. Il fattore umano comunque deve essere costituito da lavoratori altamente professionalizzati e ben retribuiti mentre sono impegnati nella flessibilità con doveri da assolvere, ma con forti diritti salariali, contrattuali e di tutela. La produzione nelle catene di montaggio dei grandi opifici non esistono più, così il vecchio terziario.

Questo passato è stato sostituito da piccole aziende fortemente digitalizzate che hanno bisogno di lavoratori altamente professionalizzati, impegnati in produzioni e servizi per commesse provenienti dai mercati di ogni emisfero terrestre. In questa realtà è ridicolo che i governi offrano alle imprese incentivi per assumere giovani, e non muovono un dito per rendere i giovani più professionalizzati e le imprese più digitalizzate, con fattori di sviluppo efficienti. E’ profondamente sbagliato distribuire redditi cittadinanza e non obbligare coloro che ne usufruiscono alla partecipazione a corsi di aggiornamento professionale come previsto dal PNRR con ben più di 6 miliardi di euro. È assurdo destrutturare il contratto a termine (il contratto flessibile più garantista per i lavoratori) come si è fatto con il decreto chissà perché chiamato “di dignità” e far prosperare le false partite iva.

Insomma l’opera di Marco Biagi, a distanza di vent’anni, ancora sta lì ad indicare la strada maestra di come servire il lavoro per il progresso dell’Italia e rifuggire da ideologie morte che ancora ritardano la nostra modernità. A causa del Covid, della guerra in Ucraina, ma anche della modernità che avanza nel lavoro mondiale, abbiamo bisogno di adeguarci ai ritmi dei nostri competitori, per garantirci benessere e lavoro per tutti. Ecco perché l’opera di Marco Biagi dovrà essere il riferimento più vivo per cambiare.

Raffaele Bonanni

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