Editoriale

Scongiurare il referendum sull’eutanasia legale: il compito di chi ha a cuore i fragili

La Corte di Cassazione ha validato le firme raccolte per convocare il referendum sull’eutanasia legale. Ora spetta alla Corte Costituzionale pronunciarsi sulla costituzionalità della domanda referendaria. Se dovesse ritenere ammissibile il referendum – che non è sull’eutanasia legale ma sull’omicidio del consenziente – allora si andrebbe al voto popolare e milioni di cittadini sarebbero chiamati ad esprimersi sul tema. In questo caso ci sarà una mobilitazione importante anche da parte di quanti vogliono evitare che il nostro ordinamento subisca una crepa devastante rispetto ad una norma di civiltà che tutela chi, in un momento di sconforto, possa chiedere ad un’altra persona di essere ucciso. Ripeto: la norma tutela chiunque – non solo il malato terminale – si trovi nelle condizioni psicologiche di chiedere la soppressione della propria vita.

Il referendum chiede l’abrogazione di parte dell’art. 579 del codice penale “omicidio del consenziente”. L’espunzione dal nostro codice penale di tale norma va ben oltre le intenzioni di chi ha proposto il referendum, che vorrebbe l’apertura all’eutanasia attiva e che, invece, finisce per chiedere l’abrogazione di un’intera disposizione di legge a tutela delle persone che si trovano in stato di vulnerabilità o in condizioni di fragilità psichica. Anche chi dovesse uccidere una persona che glielo chiede in un momento di sconforto, se il referendum passasse, sarebbe immune dall’applicazione dell’art. 579 sull’omicidio del consenziente. E’ una follia!

La Corte costituzionale, al fine di evitare che il referendum finisca per introdurre una regola generale di non punibilità per chi uccida su richiesta, dovrebbe sancirne l’inammissibilità, in quanto il quesito trasforma una apparente richiesta referendaria di abrogazione di una legge nell’illegittima introduzione di una norma nuova che assegna una generica licenza di uccidere su richiesta. Non si può: il nostro ordinamento costituzionale prevede soltanto referendum abrogativi e non propositivi di nuove leggi. La Corte potrebbe anche rimarcare che con l’eliminazione della norma particolare dell’omicidio del consenziente dell’art. 579 c.p. – la quale oggi riduce la sanzione prevista per un omicidio comune – potrebbe riemergere proprio la norma sull’omicidio generale (art. 575 c.p.) che prevede una pena non inferiore ai ventuno anni. Anche in ragione di tale esito che genererebbe confusione e sarebbe addirittura contraddittorio con l’intento dei promotori del referendum, la Corte dovrebbe non ammetterlo.

L’idea è che si torni a battere il ferro in momenti “caldi”, ossia quando emergono singoli casi di persone che chiedono di poter mettere fine alla loro vita, come Mario il paziente marchigiano. Questo non rischia di far leva sull’emotività delle persone che così risulterebbero “condizionate” nella loro decisione? La domanda mette il dito nella piaga. La piaga è rappresentata dalla costante strumentalizzazione di casi pietosi da parte di chi fa battaglie politico-legislative sui cosiddetti diritti civili. è un modo “sporco” di fare politica con la “p” minuscola, cui siamo abituati da tempo e confido che la cittadinanza nel suo complesso se ne sia accorta. Comunque, sta a quanti vogliono discutere correttamente su questo tema, informarsi, informare e mettere in luce le ragioni delle loro posizioni senza farsi irretire dal mainstream dominante. Anche le minoranze, con creatività e passione civile, possono comporre posizioni maggioritarie.

In Italia è in vigore la legge 38 che garantisce le cure palliative, ma non è pienamente applicata. Si potrebbe potenziare e far sì che sia applicata nella sua totalità, ma in un modo solo: aumentando drasticamente le risorse economiche e strutturali. Le famiglie sono spesso lasciate sole con il dolore dei loro cari. Anche per questo chi promuove l’eutanasia ha facile ascolto. Lo Stato, se non aumenta gli investimenti in questo ambito, tradisce la sua missione istituzionale, tracciata appunto dalla legge 38 sulle cure palliative e la terapia del dolore. Ed è ancora più “traditore” se, nel contempo, tollera sanatorie e introiti pubblici parziali, eticamente inaccettabili, su gioco d’azzardo, abusi edilizi, evasione fiscale e danni ambientali. Il bilancio dello Stato non può, da una parte, chiudere un occhio sull’illegalità e, dall’altra, depotenziare gli investimenti verso le vite umane che si stanno spegnendo, lasciandole lacerare nel dolore fisico e psichico. Riallineare l’etica con l’economia pubblica non è una scelta coraggiosa ma doverosa.

Se si dovesse legalizzare l’eutanasia si aprirebbe una vera e propria breccia in un sistema sanitario che, pur con le sue ombre, resta tra i più invidiati al mondo. Ne sarebbe conseguenza il ribaltamento della missione del Sistema Sanitario Nazionale che – occorre ricordarlo – è rivolta “alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali   e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio” (art. 1, legge 833/78, che istituisce il SSN). Le conseguenze sarebbero pesantissime sia in termini culturali che sociali. Un coinvolgimento delle strutture sanitarie – dove per definizione si cura e si somministrano terapie e non farmaci letali – aprirebbe a veri e propri protocolli e prassi mediche di enorme impatto sulla percezione collettiva del ruolo della sanità e ne finirebbero per fare le spese proprio i pazienti più soli e fragili che, avendo anche tale possibilità esiziale, comporrebbero il campione più ricettivo della nuova prospettiva eutanasica. Anche perché, in un’ottica cinica e inconfessabile ma drammaticamente realistica, libererebbero posti letto e risorse economiche.

Se poi, addirittura, si abrogasse la norma sull’omicidio del consenziente vorrebbe dire che il cammino di una civiltà plurimillenaria, che oggi si è attuata nella democrazia e nella tutela delle persone più fragili, subirebbe un arresto spaventoso: lo Stato abdicherebbe alla tutela verso chi è più vulnerabile autorizzando a ucciderlo su richiesta.

A quanti hanno davvero a cuore l’effettiva protezione di chi versa in condizioni di fragilità (e prima o poi lo siamo tutti), sta ora il compito di scongiurare che referendum e proposte di legge – inappropriati nella loro incoerenza costituzionale – finiscano per rappresentare una spinta verso il baratro di scelte drammatiche e spesso esito di solitudine esistenziale.

Alberto Gambino

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