Editoriale

Le schiavitù esiste ancora oggi, non è un fenomeno del passato

Noi, uomini e donne del XXI secolo, pensiamo alla schiavitù come un fenomeno del passato, immaginiamo persone ridotte in catene, costrette nella costruzione di monumenti per gli imperatori dell’antichità o vendute nei mercati come oggetti e poi trasferite lungo le vie carovaniere e tramite le navi che solcavano gli oceani.

A distanza di secoli i mezzi tecnologici e gli strumenti finanziari sono cambiati ma la sostanza è rimasta la stessa: nel mondo vivono ancora milioni di persone a cui, di fatto, è stata tolta la libertà e che vengono sfruttate e abusate. Secondo il rapporto Global estimates of modern slavery, gli schiavi contemporanei sono almeno 50 milioni (dati risalenti al 2021). Di queste persone, 28 milioni sono costrette al lavoro forzato e 22 milioni sono vittime un matrimonio forzato. Si tratta di una cifra sottostimata se consideriamo che non tiene conte dei lavoratori delle fabbriche lager di Cina, India e altri nazioni in cui i lavoratori subiscono condizioni di sfruttamento terribili, con paghe da fame, mancanza di giorni di riposo, di contribuiti pensionistici e assistenza sanitaria.

Il traffico di esseri umani, lo sfruttamento sessuale, il lavoro minorile, l’uso di bambini nei conflitti armati, il lavoro sottopagato e persino l’utero in affitto (che mercifica anche l’atto primigenio e più spontaneo della vita ovvero la generazione e la maternità) sono tutte forme di schiavitù che rivelano un mondo dove lo sfruttamento di alcuni esseri umani continua ad essere il presupposto della prosperità di altri. Il fenomeno non solo non sembra retrocedere ma è significativamente in aumento, rileva sempre il rapporto sulla schiavitù moderna, infatti nel 2021 le persone in schiavitù erano 10 milioni in più rispetto a quanto registrato dalle stime globali del 2016. Donne e bambini sono i soggetti maggiormente vulnerabili. Vale la pena evidenziare poi che lo sfruttamento sessuale ai fini commerciali rappresenta il 23 per cento di tutto il lavoro forzato. In altre parole uno schiavo moderno su quattro rientra nel mercato della prostituzione e quasi quattro su cinque delle persone vittime di sfruttamento sessuale ai fini commerciali sono donne o ragazze.

La maggioranza delle persone occidentali potrebbe sentirsi estranea al fenomeno. Ma non basta evitare lo sfruttamento sessuale o dei lavoratori, inconsapevolmente anche con i nostri acquisti possiamo alimentare un mercato di vite e corpi immolati nel nome del profitto. Preferiamo non chiederci cosa c’è dietro i nostri smartphone o le batterie delle auto elettriche.

In Cina le lavoratrici delle fabbriche lager sono costrette perfino ad abortire per non perdere il posto. Negli impianti utilizzati anche dalle multinazionali dell’High tec i lavoratori sono sfruttati con salari bassi, straordinari estremi e lavoro molto intenso. Le lunghe giornate lavorative spingono le persone sull’orlo dell’esaurimento e molti sono i casi di suicidio. In Congo invece continua la strage di bambini nelle miniere di coltan. I più piccoli sono molto richiesti per questi lavori perché più agili e si muovono meglio in spazi angusti delle miniere.

La lotta alla schiavitù non si limita quindi all’azione dei governi ma parte dal comportamento responsabile di ognuno di noi. Dobbiamo pensare che dietro ad una parte del nostro benessere a volte c’è una persona che viene fruttata per garantirlo. Questo ovviamente non è un atto d’accusa contro milioni di persone che lavorano e vivono correttamente ma una presa di coscienza necessaria per estendere la protezione sociale e le tutele legali a tutti i lavoratori del mondo.

Marco Guerra

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