Editoriale

Il filo conciliare che unisce i papi

Da Giovanni Paolo II a Benedetto e Francesco. Per capire quanto il Concilio Vaticano II abbia incrociato le strade dei due più diretti predecessori di Francesco, è fondamentale l’intervista di Wlodzimierz Redzioch a Benedetto XVI. E’ contenuta nel libro “Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano”. Il testo è stato pubblicato dalle edizioni Ares. L’intervistatore chiede a Joseph Ratzinger: “Santità, il suo nome e quello di Karol Wojtyla sono legati, a vario titolo, al Concilio Vaticano II. Vi siete conosciuti già durante il Concilio?”. La risposta è franca e limpida. Il primo incontro consapevole tra Ratzinger e il cardinale Wojtyla avvenne solamente nel conclave in cui venne eletto Giovanni Paolo I. Durante il Concilio, avevano collaborato entrambi alla Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. E tuttavia in sezioni diverse, cosicché non si erano incontrati.Nel settembre del 1978, in occasione della visita dei vescovi polacchi in Germania, Joseph Ratzinger era in Ecuador come rappresentante personale di Giovanni Paolo I. Naturalmente Ratzinger aveva sentito parlare dell’opera di filosofo e di pastore dell’arcivescovo di Cracovia, e da tempo desiderava conoscerlo. Karol Wojtyla, dal canto suo, aveva letto l’Introduzione al cristianesimo di Ratzinger, che aveva anche citato agli esercizi spirituali da Wojtyla predicati per Paolo VI e la Curia nella Quaresima del 1976. Perciò è come se interiormente Wojtyla e Ratzinger desiderassero entrambi di incontrarsi.Joseph Ratzinger racconta di aver provato sin dall’inizio una grande venerazione e una cordiale simpatia per il metropolita di Cracovia. Nel pre-Conclave del 1978, racconta Ratzinger, Wojtyla analizzò per i cardinali in modo illuminante la natura del marxismo. Ma soprattutto il futuro Benedetto XVI racconta di essere rimasto subito colpito dal fascino umano che Wojtyla emanava e, da come pregava, avvertendo quanto Wojtyla fosse profondamente unito a Dio. Tante le sfide dottrinali affrontate insieme. La prima fu la teologia della liberazione che si stava diffondendo in America Latina. Sia in Europa che in America del Nord era opinione comune che si trattasse di un sostegno ai poveri. E dunque di una causa che si doveva approvare senz’altro. Ma per Wojtyla e Ratzinger questo era un errore.La povertà e i poveri erano senza dubbio posti a tema dalla teologia della liberazione. E tuttavia in una prospettiva molto specifica. Le forme di aiuto immediato ai poveri e le riforme che ne miglioravano la condizione venivano condannate come riformismo che ha l’effetto di consolidare il sistema. Attutivano, si affermava, la rabbia e l’indignazione che invece erano necessarie per la trasformazione rivoluzionaria del sistema. E uno delle principali caratteristiche del lavoro di Joseph Ratzinger, negli anni da prefetto della Dottrina della fede e poi negli otto anni sul Soglio di Pietro, fu la capacità intellettuale di interpretare i “segni dei tempi” senza ad essi sottomettersi.

Giacomo Galeazzi

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