Editoriale

Roma 1986-Lisbona 2023. 37 anni di amore Papa-Gmg

La prima Gmg a Roma nel 1986 con papa Giovanni Paolo II. 37 anni dopo i giovani abbracciano Francesco a Lisbona. In quattro decenni quale Chiesa viene rivitalizzata dalla Giornata Mondiale della Gioventù? Per cominciare, una Chiesa riconciliata, che ha fatto i conti con se stessa, con il suo passato, con le colpe che ne gravavano la storia, ne offuscavano il volto. E, questo, grazie soprattutto alla grande esperienza del Giubileo del 2000 (inclusa la storica Gmg a Tor Vergata), che le ha permesso di varcare la soglia del
terzo millennio pentita e purificata. Una Chiesa più spirituale, più evangelica, più biblica. Perché centrata sul primato della parola di Dio. E, quindi, della vita interiore, della santità. Una santità finalmente “aperta” a tutti, e non più monopolio di alcune categorie, di alcuni gruppi.

Una Chiesa che non è più una monarchia assoluta, come poteva apparire fino a qualche tempo fa. Meno burocratica, e, in prospettiva, più sinodale, come nell’Oriente. Una Chiesa meno clericale e, invece, con un maggiore spazio per i cristiani laici, e in particolar
modo (malgrado la misoginia ancora così diffusa tra i chierici) per il “genio” femminile.
Una Chiesa non più dominata, rispetto a un tempo, dal moralismo. E intanto, specialmente dopo le catechesi di Karol Wojtyla sulla teologia del corpo, cominciava a delinearsi una proposta morale. Non più caricata di divieti, di cose da non fare. Ma fondata sul disegno di salvezza di Dio Padre. Un Padre esigente ma anche misericordioso. Una Chiesa che tende alla maturazione della coscienza del credente.Una Chiesa non solo realmente mondiale, ma espressione di una felice sintesi tra universalità e inculturazione. Con il progressivo spostamento del suo baricentro verso l’America Latina, l’Africa, l’Asia. Ma dove, proprio per la sua azione a favore della gente più
povera, più oppressa, la missione evangelizzatrice viene purtroppo segnata da un nuovo martirio. Come agli inizi del cristianesimo. E ancora. Una Chiesa impegnata a fondo nel movimento ecumenico. Con un grande sviluppo delle relazioni con le altre Chiese cristiane e con le altre religioni. Anche se, per l’islam, ci sono grossi ostacoli a causa dell’espandersi del fondamentalismo islamico.

Una Chiesa che non teme le sfide della modernità. Ormai conosce bene il senso della vera laicità, dei confini tra ciò che è di Dio e ciò che è di Cesare. E se rivendica la propria identità e una presenza nella vita civile, non per questo aspira a un ritorno alla “societas christiana“, a un nuovo integralismo religioso. Una Chiesa incarnata nella storia, e che si è affrancata definitivamente da ogni connivenza, da ogni compromesso con sistemi politico-economici, con ideologie. Così, adesso, può testimoniare credibilmente l’esperienza cristiana nelle diverse società. Può scendere in campo e combattere la sua “battaglia” in difesa dei diritti umani, a partire dal diritto alla vita.Alla Gmg di Lisbona una Chiesa che è immagine più trasparente e convincente dell’amore di Dio. Della sua misericordia. E, quindi di una fede più dentro la quotidianità della vita umana. Una Chiesa più vicina agli uomini e ai problemi degli uomini. E più coraggiosamente impegnata nella costruzione della pace, della giustizia. Nel segno della solidarietà. E di una autentica “famiglia” di popoli e di nazioni. “Cari giovani- insegna papa Francesco-. Non siamo venuti al mondo per ‘vegetare‘. Per passarcela comodamente. Per fare della vita un divano che ci addormenti. Al contrario siamo venuti per un’altra cosa. Per lasciare un’impronta. E’ molto triste passare nella vita senza lasciare un’impronta. Ma quando scegliamo la comodità, confondendo felicità con consumare, allora il prezzo che paghiamo è molto caro. Perdiamo la libertà”. Aggiunge Jorge Mario Bergoglio: “Non siamo liberi di lasciare un’impronta. Perdiamo la libertà. Questo è il prezzo. E c’è tanta gente che vuole che i giovani non siano liberi. C’è tanta gente che non vi vuole bene, che vi vuole intontiti, imbambolati, addormentati, ma mai liberi. No, questo no! Dobbiamo difendere la nostra libertà!”.

Giacomo Galeazzi

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