Editoriale

La mafia è mafia ovunque

La Chiesa come comunità inserita nella storia che esercita una responsabilità verso l’intera società non può non fare i conti con il fenomeno della mafia per esercitare un suo “servizio” in nome del messaggio di cui è portatrice. È compito della Chiesa sia aiutare a prendere consapevolezza sia tutti, anche i cristiani, alimentiamo l’humus, dove alligna e facilmente cresce la mafia, sia indurre al superamento dell’attuale situazione attraverso la conversione al Vangelo, capace di creare una cultura antimafia fondata sulla consapevolezza che il bene comune è frutto dell’apporto responsabile di tutti e di ciascuno.

Alla comunità cristiana si richiedono dei gesti originali che portino a una prevenzione dei reati collegati col fenomeno mafioso impegnandosi per la diffusione di una cultura della legalità e all’educazione a non fare del denaro e della ricerca smodata del potere gli idoli cui sacrificare tutto dalla vita delle persone.

Come arcivescovo di Monreale ho stabilito con un decreto che non possono essere accolti nelle confraternite “coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso o ad associazioni più o meno segrete contrarie ai valori evangelici ed hanno avuto sentenza di condanna per delitti non colposi passata in giudicato”.  E con un analogo decreto ho aggiunto che le stesse categorie di persone “non possono essere ammessi all’incarico di padrino di battesimo e di cresima”.

Ormai, il fenomeno mafioso, inizialmente pressoché autoctono e confinato nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia, si è progressivamente diffuso e puoi dirsi purtroppo ormai globalizzato, coinvolgendo tutti coloro che, nel mondo, risultano da un canto inseriti in associazioni mafiose e dall’altro battezzati. Se, dunque, la situazione normativa pare chiara nel territorio delle Chiese di Sicilia e di Calabria, ci si deve domandare perché la scomunica non valga in quei luoghi in cui vi sia la presenza di associazioni mafiose, i cui aderenti non risultano invece colpiti da scomunica in assenza di un decreto formale da parte dei singoli vescovi o delle conferenze regionali o nazionali.

Ciò che appare evidente negli interventi di papa Francesco è che ogni associazione malavitosa vada assimilata a quella di mafia e di ’ndrangheta. Come un’unica categoria da condannare senza limiti o differenziazioni territoriali. C’è stata una globalizzazione del fenomeno mafioso. Quindi non sarebbe comprensibile che un delitto di stampo mafioso nelle diocesi della Sicilia, della Calabria o della Campania venga punito con la scomunica, mentre se commesso in un’altra regione possa restare indifferente alla pena non essendoci una stessa sanzione canonica. C’è dunque bisogno di un movimento a livello internazionale, di un risveglio delle coscienze per fare fronte comune contro le diverse forme di corruzione, crimine organizzato e mafia. E la Chiesa si colloca in prima linea.

mons. Michele Pennisi

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