Editoriale

La povertà non è una colpa

Ai poveri non si perdona neppure la loro povertà“, rileva papa Francesco. E proprio per proclamare che l’indigenza non è una colpa né un destino ineluttabile l’Onu ha istituito trent’anni fa la Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà. Da allora il 17 ottobre le Nazioni Unite sollecitano l’umanità a ridurre gli sprechi e incrementare la solidarietà sociale. In ballo ci sono i diritti dei singoli e della collettività e la sopravvivenza di miliardi di persone. Intanto, però, si è giunti a teorizzare e realizzare “un’architettura ostile”, in modo da “sbarazzarsi della loro presenza anche nelle strade”. Ma i poveri, avverte il Pontefice, non sono numeri a cui appellarsi per “vantare opere e progetti”. I poveri sono persone a cui “andare incontro”. Sono giovani e anziani soli “da invitare a casa per condividere il pasto”. Uomini, donne e bambini che “attendono una parola amica”. E la missione della Chiesa è testimoniare condivisione con i più fragili. Da sempre il magistero ecclesiale considera la povertà una privazione grave di beni materiali, sociali, culturali che minaccia la dignità della persona. I poveri sono quanti soffrono di condizioni disumane per quanto riguarda il cibo, l’alloggio, l’accesso alle cure mediche, l’istruzione, il lavoro, le libertà fondamentali.

Al Concilio Paolo VI affidò un ispirato messaggio ai poveri: “Riprendete coraggio voi abbandonati che sentite più gravemente il peso della croce. Voi poveri siete i preferiti del regno di Dio, i fratelli del Cristo sofferente e con lui salvate il mondo. Non siete soli, né separati, né abbandonati, né inutili. Siete l’immagine vivente e trasparente di Cristo“. Anche oggi la Chiesa, stimolata da Francesco, si rivolge alle sofferenze e alle difficoltà della società, guardando alle periferie del mondo. L’espressione “scelta prioritaria” (o “opzione preferenziale”) per i poveri è stata integrata nella dottrina sociale della Chiesa da Giovanni Paolo II. Jorge Mario Bergoglio ribadisce che il Nuovo Testamento non condanna i ricchi, ma l’idolatria della ricchezza e che l’attuale sistema si mantiene con la cultura dello scarto, così crescono disparità e povertà. Francesco riconosce che la globalizzazione ha aiutato molte persone a sollevarsi dalla povertà, ma ne ha condannate tante altre a morire di fame. È vero che in termini assoluti è cresciuta la ricchezza mondiale, ma sono anche aumentate le disparità e sono sorte nuove povertà. “Questo sistema si mantiene con quella cultura dello scarto: c’è una politica, una sociologia, e anche un atteggiamento dello scarto”, sottolinea il Pontefice. Quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro, quando il denaro diventa un idolo, gli uomini e le donne sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da profondi squilibri. E così si scarta quello che non serve a questa logica: è quell’atteggiamento che scarta i bambini e gli anziani, e che colpisce anche i giovani “né-né”, quelli che non studiano né lavorano. Non studiano perché non hanno possibilità di farlo, non lavorano perché manca il lavoro. E’ la cultura dello scarto che porta a rifiutare i bambini anche con l’aborto. Come pure induce all’eutanasia nascosta degli anziani, che vengono abbandonati invece di essere considerati come il legame con il passato e una risorsa di saggezza per il presente.

“Quale sarà il prossimo scarto?”, si chiede il Papa, esortando tutti a fermarsi in tempo, a non rassegnarsi, a non considerare questo stato di cose come irreversibile. Occorre cercare di costruire una società e un’economia dove l’uomo e il suo bene, e non il denaro, siano al centro. Secondo il Pontefice che vuole una Chiesa povera per i poveri, c’è bisogno di etica nell’economia e c’è bisogno di etica anche nella politica. Il pastore può fare i suoi richiami ma, come ricordava Benedetto XVI nell’enciclica “Caritas in Veritate”, servono uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo, consapevoli che l’amore e la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo, non sono un prodotto delle nostre mani, ma un dono da chiedere. E non si può più aspettare a risolvere le cause strutturali della povertà, per guarire le società da una malattia che può solo portare verso nuove crisi: i mercati e la speculazione finanziaria non possono godere di un’autonomia assoluta.

Senza una soluzione ai problemi dei poveri non risolveremo i problemi del mondo. C’è urgente necessità di programmi, meccanismi e processi orientati a una migliore distribuzione delle risorse, alla creazione di lavoro, alla promozione integrale di chi è escluso. Alle origini del cristianesimo San Giovanni Crisostomo sosteneva “Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro”. Questa attenzione per i poveri è nel Vangelo ed è nella tradizione della Chiesa. La povertà non è miseria. La miseria è indegnità, la povertà è uno stile di vita. La verità è come l’acqua, la strada la trova. Non sono gli uomini che cambiano l’umanità, ma Dio. L’imperativo è non abbandonare mai nessuno. Occorre suscitare l’impazienza della carità. “I poveri hanno bisogno delle nostre mani per essere risollevati, dei nostri cuori per sentire di nuovo il calore dell’affetto, della nostra presenza per superare la solitudine”, esorta Francesco. Hanno bisogno di amore, semplicemente. A volte basta poco per restituire speranza: basta fermarsi, sorridere, ascoltare.

don Aldo Buonaiuto

Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata

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