Editoriale

La furia iconoclasta che lede la memoria storica

Via Col Vento, Colombo, Giulio Cesare, i cioccolatini Moretti, Dante Alighieri, Winston Churchill… La furia iconoclasta, che ha accompagnato alcune proteste di questi giorni contro la violenza della polizia americana, non ha risparmiato personaggi storici, letterati e prodotti culturali che abbiamo scritto, detto o anche semplicemente prestato il fianco a quelli che, con le lenti di oggi, vengono giudicati come atti di razzismo o discriminazione.

Si badi bene che ad essere imbrattate, decapitate o gettate nei fiumi non sono le statue dedicate a sanguinosi dittatori o violenti ideologi suprematisti ma quelle erette in memoria di statisti e uomini di cultura che ai loro tempi furono considerati delle menti illuminate, che contribuirono al progresso dell’umanità o quanto meno di determinate nazioni. Succede quindi che un Churchill che condusse la Gran Bretagna e gli Alleati alla vittoria sul nazismo venga tratteggiato come un razzista per aver pronunciato delle infelici frasi sugli indiani, che tutti noi considereremmo inaccettabili.

Seguendo il filo del ragionamento di questi nuovi talebani dell’inquisizione politicamente corretta, non sorprende quindi che i grandi navigatori e scopritori siano solo degli usurpatori di terre; che i poeti del medioevo siano omofobi e retrogradi maschilisti; e che gli condottieri dell’antica Roma vadano raccontati come degli sterminatori di popoli. In quest’ottica appare un guerrafondaio intollerante anche un grande santo come Giovanni Capestrano, che nella prima metà del 1400 rievangelizzò l’Europa dell’Est e organizzò la crociata per fermare l’invasione ottomana dei Balcani che stava provocando morte, distruzione e milioni di schiavi.

Insomma poco importa che questi personaggi abbiano contribuito ad illuminare le loro epoche tramite l’urbanistica, l’architettura, la filosofia, il diritto, l’alfabeto, la letteratura, la teologia, l’umanesimo, in sintesi tutto quello che ha definito le future società complesse contemporanee occidentali, dove sono fioriti diritti e democrazia come in nessun’altra parte del mondo. Tutto è ridotto ad un aspetto o ad un episodio effettivamente controverso della vita di queste personalità, delle quali non si considera il complesso delle loro opere né tanto meno il contesto storico in cui hanno vissuto.

Queste valutazioni miopi sono viziate da un sentire privato di qualsiasi visione della continuità e della complessità. Tutto è rapportato ad un eterno presente, che non appare come il frutto di un lungo cammino dell’umanità ma piuttosto come una netta cesura con qualsiasi passato. La sensazione è quella di un processo all’Occidente e che vuole rovesciare i paradigmi delle generazione precedenti senza però nemmeno aprire un dibattito su quelli del presente.

Questa operazione è stata già vissuta nella storia, le vicende della Rivoluzione Francese e della Russia ci raccontano di immensi patrimoni della cultura europea distrutti per sempre dalla furia iconoclasta dei rivoluzionari. La Cina di Mao fece la stessa cosa con la tradizione confuciana e buddista, e più recentemente i Talebani e lo Stato Islamico si sono accaniti con i simboli delle altre religioni e i reperti archeologici pagani. Chi crede di incarnare il bene assoluto parte proprio dalla distruzione di tutto quello che lo ha preceduto.

Tutto questo non vuol dire che non si possa fare un discorso di sano revisionismo storico, perché la storia non sarebbe una disciplina viva se non si potesse studiare e correggere anche alla luce nuove fonti, documenti e punti di vista che ne chiariscono tutti gli aspetti che ancora si riflettono sul presente.

Solo per fare alcuni esempi, ricordiamo il polverone alzato dai libri di Pansa sugli eccidi fatti dalla Resistenza italiana alla fine della seconda guerra mondiale e dai volumi di Pino Aprile sui lati oscuri dell’unità d’Italia e sulle molte delle ingiustizie subite dal Meridione; eppure nessuno si sognerebbe di avallare la rimozione di un monumento dedicato ai partigiani o Garibaldi. Tante poi sono le pagine strappate dai libri di storia che meriterebbero di entrare nella didattica scolastica, dal genocidio degli armeni alle foibe, dal dramma dei nativi del Nord America a quello del Tibet invaso dalla Cina. In questa cornice si può e si deve sicuramente fare luce anche sui crimini commessi dagli europei, come ha suggerito lo storico Franco Cardini che, dalle colonne di Avvenire, qualche giorno fa ha raccontato l’efferata violenza con cui Leopoldo II di Belgio governò e sfrutto le popolazioni del Congo.

Ad ogni modo, la definitiva pacificazione tra vittime e carnefici, vinti e vincitori, non avverrà prendendo a picconate i monumenti o gettando libri nei roghi. Una visione ideologica che taglia tutti i ponti con il passato porterà solo più rabbia e frustrazione tra i giovani privi di radici, memoria storica, simboli condivisi e senso della comunità.

Marco Guerra

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