Editoriale

Il sogno di Francesco pellegrino in Iraq

Andare nelle terre dove sono fiorite le prime comunità cristiane ed esprimere concreata vicinanza ai fedeli che in questi ultimi anni hanno pagato il tributo di sangue più alto per non rinnegare la propria fede. Il viaggio di Papa Francesco in Iraq dal 5 all’8 marzo 2021, il primo del Pontefice dall’inizio della Pandemia del Covid 19, entra nel vivo delle grandi questioni delle fede, delle geopolitica e degli assetti dell’ordine mondiale.

Libertà religiosa, diritti di autodeterminazione dei popoli, migrazioni, dialogo interreligioso, convivenza pacifica tra le fedi e gestione delle risorse naturali nell’ottica del rispetto dell’ecologia integrale ( Il petrolio). La visita del Santo Padre non poteva essere più ricca di significati in questa terra carica di storia e di identità plurimillenarie. Francesco farà tappa a Baghdad, la Piana di Ur, legata alla memoria di Abramo, la città di Erbil, così come Mosul e Qaraqosh nella Piana di Ninive, tutti luoghi in cui il martirio dei nostri fratelli nella fede, dopo secoli di convivenza e delicati equilibri con la società islamica, ha avuto una prima fiammata nel 2003, con l’intervento americano contro Saddam, per poi esplodere in aperte persecuzioni con l’occupazione del Califatto Isis del 2014 nelle regioni del nord.

L’Iraq è emblema della parabola dei cristiani in tutto il Medio Oriente, da componente non trascurabile della popolazione a minoranza vitale ma spesso discriminata non se non brutalmente perseguitata da governi, estremisti islamici e a volte anche da eserciti stranieri. In Iraq, i credenti in Cristo sono passati dal milione e mezzo di componenti ai circa 300mila attuali, 17 anni di guerra hanno provocato un esodo senza precedenti verso l’Europa e il Nord America. La società irachena ha perso la sua parte più aperta al mondo, capace di innovare, integrare e far dialogare tutte le componenti del Paese. Il cristiano, come in tutte le altre nazioni del Medio Oriente, fa da collante e da motore della società civile, ne favorisce la pacificazione e la prosperità, la mette in contatto con l’Occidente e con i principi del diritto internazionale. Non è un caso infatti che i componenti delle comunità cristiane siano mediamente più istruiti e più impegnati in attività economiche di qualsiasi tipo. Per non parlare del contributo indispensabile offerto dal clero e dalle scuole cattoliche in Paesi come il Libano, la Siria, l’Egitto e in Terra Santa. Per tutti questi motivi è necessario incentivare in ogni modo il ritorno dei cristiani in Medio Oriente.

Papa Francesco ha ribadito questi concetti in un recente videomessaggio rivolto ai partecipanti alla riunione sulla crisi umanitaria siriana e irachena, organizzata in modalità on line dal Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo umano integrale per discutere e riflettere sui “gravissimi problemi che ancora oggi affliggono le popolazioni delle amate Siria, Iraq, e Paesi limitrofi”.

Il pensiero del Pontefice si è rivolto infatti i rifugiati che vogliono rientrare nel loro Paese: “Rivolgo un appello alla comunità internazionale, perché si faccia ogni sforzo per favorire questo rientro, garantendo le condizioni di sicurezza e le condizioni economiche necessarie perché ciò si possa avverare. Ogni gesto, ogni sforzo in questa direzione è prezioso”. Con queste parole il Santo Padre, sempre attento ai bisogni dei migrati, ha quindi rimarcato che il primo diritto di ogni persona è quello di vivere in pace nella propria terra natale.

Il Papa ha poi espresso un particolare un auspicio, ovvero che “la presenza cristiana, in queste terre, continui ad essere un segno di pace”. “Il mio pensiero va soprattutto alle persone che hanno dovuto lasciare le proprie case per sfuggire agli orrori della guerra – ha proseguito -, alla ricerca di condizioni di vita migliore per sé e per i propri cari. In particolare, ricordo i cristiani costretti ad abbandonare i luoghi dove sono nati e cresciuti, dove si è sviluppata ed arricchita la loro fede”. Il destino del mondo globalizzato passa quindi per la vita di queste antiche comunità, una cerniera tra Oriente e Occidente che non possiamo permetterci di perdere.

Marco Guerra

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