“L’Islam non è terrorista. Non è vero e non è giusto. Ci sono gruppetti fondamentalisti. Ad esempio il cosiddetto Isis, lo Stato Islamico, che si presenta come violento. Ma non voglio parlare di violenza islamica, perché allora dovrei parlare anche di violenza cattolica, a guardare i giornali e vedere quello che succede pure in Italia. Invece, si può convivere bene”. Sono le parole del Papa alla Gmg, e assumono un valore particolare dopo la domenica in cui le chiese d’Europa hanno ospitato musulmani, in una ricerca comune di pace.
È un messaggio forte, che deve essere amplificato, perché così come da noi c’è chi cerca di far passare l’Islam come il male assoluto, non distinguendo tra religione e fanatismo, tra fedeli e terroristi, lo stesso accade – a parti invertite – al di là del Mediterraneo. Ed il sospetto, l’incomprensione, la non conoscenza sono i germi che portano alla diffidenza e poi all’odio, madre e padre di ogni guerra, ovviamente “insieme” a una buona dose di interessi economici.
Che il rischio di incomprensioni planetarie – al di là degli estremismi terroristici – sia
grande, lo testimonia un recente sondaggio condotto da aljazeera.net, il sito web per il canale televisivo Al Jazeera in arabo, gli intervistati sostengono di gran lunga il gruppo terroristico Stato islamico.
Come leggere questo dato? Il pubblico televisivo di Al Jazeera in arabo è in gran parte costituito da musulmani sunniti che vivono nel mondo arabo. L’audience si concentra per lo più in Egitto e Arabia Saudita, oltre a una grande quantità di telespettatori via satellite, soprattutto negli Stati Uniti. aljazeera.net è più popolare in Arabia Saudita, Stati Uniti, Egitto, Marocco, e in Bosnia-Erzegovina, secondo il sito di analisi delle pagine web Alexa, tanto da raggiungere circa 40 milioni di spettatori in tutto il mondo arabo.
La notizia che la stragrande maggioranza di chi ha risposto al sondaggio di Al Jazeera in arabo supporta l’Isis non deve sorprendere; sia perché sul canale tv pesa da tempo l’accusa di essere filo-Daesh, ma anche perché la disinformazione (o contro-informazione, che dir si voglia) impera da una parte e dall’altra.
In una domenica come quella appena passata, che ha rappresentato simbolicamente una svolta nei rapporti umani tra islamici e cristiani nei territori dell’Occidente, va compreso il rischio di un sondaggio come quello uscito, che pur non avendo alcun valore scientifico per l’assoluta lontananza tra il campione che ha risposto e i numeri generali, lascia comunque sul campo il tema della comunicazione come fondamento per una reale integrazione.
Lo Stato islamico ha un suo seguito, è innegabile: ha creato una sorta di welfare nei territori che gestisce, interviene su scuole, educazione, sanità, occupazione, assistenza. Poi c’è l’atavica disputa tra Sunniti e Sciiti, e dato che la riconquista delle città sunnite in mano all’Isis è spesso affidata a truppe sciite, questo non può che aumentare – per certi versi – il favore riscontrato dallo Stato Islamico. Diverso è però fare proseliti in Occidente fino a farli diventare “cellule di morte”. Per impedire che la piaga si allarghi non servono le bombe, né i muri; lo sminamento deve essere culturale, prima che militare. Altrimenti resterà una guerra persa.
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