Editoriale

Evitare la catastrofe umanitaria a Gaza: un dovere di tutti i governanti

Due milioni di persone senza acqua, cibo, medicine, carburante; il valico con l’Egitto ancora chiuso; l’imminente operazione militare di terra israeliana; i bombardamenti dal cielo e migliaia di miliziani islamisti che si muovono sul territorio facendo diventare ogni struttura civile un possibile obiettivo dei missili dello Stato Ebraico. Questa è la situazione attuale di Gaza dove rischia di scoppiare una delle peggiori crisi umanitarie mai viste dalla seconda guerra mondiale a questa parte. A complicare ancora di più la situazione c’è il costante lancio di razzi verso Israele che provoca raid di risposta e la presenza nei cunicoli scavati da Hamas di oltre 200 ostaggi israeliani. Giovanni donne, bambini, anziani e soldati che possono essere usati come scudi umani o merce di scambio.

La sopravvivenza a Gaza è dunque una corsa contro il tempo e contro la fermezza di tutti gli attori coinvolti. Tutte le organizzazioni umanitarie riferiscono che le scorte di beni di prima necessità all’interno delle Striscia di Gaza si stanno esaurendo. La Comunità Internazionale chiede ad Israele e ad Hamas una tregua umanitaria per agevolare le operazioni di assistenza alla popolazione e chiede all’Egitto di aprire il valico di Rafah per consentire l’ingresso di aiuti e soprattutto per permettere alla popolazione civile di Gaza di evacuare nel Sinai prima che inizia l’invasione dell’esercito israeliano, che ha l’obiettivo di eradicare, una volta per tutte, le milizie estremiste palestinesi dalla Striscia.

Nel momento in cui scrivo nessuno è intenzionato a fare un passo indietro o fare un gesto di umana pietà. Il governo del Il Cario continua a tenere chiuso il valico di Rafah, le pressioni sul presidente egiziano Al Sisi arrivano da tutto il mondo occidentale ma l’uomo forte dell’Egitto non ha alcuna intensione di ospitare 2 milioni di profughi palestinesi. L’Egitto teme infiltrazioni jihadiste tra la massa di rifugiati e possibili ripercussioni sulla stabilità interna. Ma è tutta la regione a rischiare una catastrofe, lo dicono le esperienze precedenti, l’esodo di massi di palestinesi in Libano, avvenuto nei decenni precedenti, ancora pesa sul Paese dei cedri.

La Chiesa cattolica resta in prima linea come un baluardo di speranza. In queste ore 500 palestinesi sono rifugiati nella chiesa latina di Gaza City, qui sono arrivati anche i feriti della Chiesa ortodossa colpita dalle bombe. Non esiste però luogo sicuro nella Striscia, spostarsi verso sud non offre alcuna garanzia di salvezza finché non sarà aperto il valico con l’Egitto. Nemmeno la presenza del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, davanti a questo varco ha portato ad un alletamento momentaneo da parte dell’Egitto.

L’esercito israeliano è pronto ad invadere Gaza, le autorità di Tel Aviv sono convinte che con l’esistenza di Hamas e di Israele non sono compatibili. L’Ambasciatore Israeliano a Roma, Alon Bar, ha spiegato che nessuna persona al mondo vorrebbe vivere o semplicemente soggiornare in Israele sapendo che potrebbe riaccadere un attacco su larga scala di Hamas. Sarà una guerra lunga e faticosa continuano a ripetere le autorità dello Stato Ebraico.

Una flebile speranza arriva dalla liberazione, nel tardo pomeriggio di venerdì, di due ostaggi, due ragazze americane, consegnati da Hamas alla Croce Rossa. Un gesto che dimostra che anche il più feroce dei terroristi può essere indotto alla trattativa se sottoposto alle giuste pressioni. Si può e si deve trattare finché c’è la possibilità di salvare una sola vita, prima che Gaza diventi un infernale campo di battaglia tra il cemento armato dei palazzi distrutti e la terra brulla del deserto. Fermare questa guerra che ha radici profondissime è praticamente impossibile ma evitare una catastrofe umanitaria di proporzioni epocali è un dovere di tutti i governati arabi e occidentali. Ogni sforzo e ogni preghiera deve andare nella direzione di fermare anche per un solo giorno i combattimenti e portare in salvo profughi e ostaggi.

Marco Guerra

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