Editoriale

I frutti dei due comandamenti della Shemà

Stiamo sempre a cercare una legge, delle norme da osservare che possano farci sentire “in regola”, qualcosa che ci giustifichi anche dinanzi a Dio, come nel Vangelo di questa domenica in cui lo scriba domanda a Gesù quale sia il primo di tutti i comandamenti.

Amare Dio e il prossimo”, questa è tutta la legge, risponde Gesù. Ma amare non può essere una legge come la intendiamo noi: è un dono che nasce dall’incontro con Dio. Per amare non è sufficiente uno sforzo, per quanto l’uomo possa essere virtuoso. Oggi che viviamo in una società che continuamente vuole convincerci che non esiste Dio, non esiste l’anima, non c’è né Cielo né inferno, l’uomo rimane solo e sperimenta la sua impossibilità di donarsi, cioè di amare.

Anche nella Chiesa può esserci questa tentazione, mettendo al centro l’uomo così da ridurre la salvezza portata da Cristo solo ad un “fare”: Dio non è più al centro della fede, rimane l’uomo e il suo impegno sociale. Un’idea che corrode la nostra vita, ci toglie la Verità, la Speranza; tutto è appiattito. Se questa è la verità perché nei paesi più evoluti, dove si è rifiutata la fede ma tutti sono assistiti, non sono tutti felici e troviamo il più alto numero di alcolizzati e di suicidi?

Dentro ogni uomo c’è il bisogno di incontrarsi con Cristo, ognuno di noi ha sete di Dio, del Suo Amore, perché in noi abbiamo scritto il nostro destino eterno. Per quanto il mondo cerchi di negarlo, abbiamo veramente un’anima e questa ha bisogno di incontrarsi con Cristo, di nutrirsi dei suoi Sacramenti e della Sua Parola, altrimenti diventiamo aridi, secchi, vuoti internamente. Per quanto bene si possa stare, per quanti soldi o successo si possa avere, non saremo mai felici.

Per ricevere la fede occorre qualcuno che ci mostri cosa sia davvero l’amore, che ci testimoni in questo modo la vittoria di Cristo sulla morte, perché solo chi ha incontrato Cristo, lo ha visto vivo e presente nella sua vita, può amare: è chi un giorno ha sperimentato il perdono del Signore, gli ha affidato le sue sofferenze, si è fidato di Lui, ha ascoltato la Sua Parola e così ha scoperto che i due comandamenti dello Shemà non erano frutto dello sforzo, ma un regalo.

Il cristiano è chiamato a compiere lo Shemà in famiglia, nel lavoro, con gli amici e con tutte le persone che il Signore mette sulla sua strada. Non come il “più bravo”, ma come un testimone che ha sperimentato l’Amore di Cristo nella sua vita e così può donarlo agli altri.

Oggi più che mai c’è bisogno di questo incontro. Testimoni della fede, che ridiano vita a “anime morte”. Questo lo può fare solo l’Amore: quello vero, quello di Cristo.

mons. Antonio Interguglielmi

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