Editoriale

Chi parla e straparla di immigrazione

Da bambino ero molto taciturno e dicevo qualcosa solo quando non ne potevo fare a meno. Mi ricordo che una mia zia che abitava in Brianza se ne preoccupò, ma fu subito invitata dai miei nonni a non insistere ricordandogli l’opinione delle realtà di montagna che chi parla tanto, spesso sparla. Ho sempre ricordato quell’aneddoto della mia infanzia, che contribuì moltissimo a convincermi della bontà di quel modo di pensare. Ma devo confessare che quel punto di vista, seppur conservato è radicato in me, affronto con disagio crescente il dibattito politico che spesso è alimentato da affermazioni molto discutibili.

Prendiamo le grandi migrazioni. Come si sa, nei millenni, nessuno è riuscito a fermarli. Infatti la speranza del superamento delle sofferenze, la ricerca di luoghi ambiti ed il desiderio giovanile dell’avventura, generano una forza inarrestabile che se incanalata in progetti comuni può fecondare ogni luogo di approdo, se al contrario respinti, in un modo o in un altro, sono capaci di rompe ogni argine e straripando portano danni. È questa è la storia dell’umanità che si ripete da secoli. Non voglio credere che la classe dirigente italiana non sappia questa verità inconfutabile. E allora chi è contrario a fare i conti con questa realtà, e chi pensa che bisogna solo aprire le frontiere senza alcuna strategia di accoglienza ordinata per persone qualificate, sta facendo molto male al futuro dell’Italia.

Abbiamo infatti bisogno di immigrati per coprire ruoli impossibili da assolvere per l’inverno demografico che ci colpisce. Scarseggiano già lavoratori in agricoltura, nella ristorazione e nella accoglienza, nei servizi in generale ed in special modo nei servizi alla persona, e in quello industriale. Ed allora il decremento accentuato della demografia italiana dovrebbe consigliare un approccio responsabile con questo tema, che sicuramente ci impegnerà per questo primo secolo che volge al terzo millennio. Infatti le stime sul decremento demografico italiano nei prossimi cinquant’anni ci indicano le catastrofiche previsioni di 10 – 15 milioni di persone, mentre il continente nero nello stesso periodo raddoppierà la sua popolazione fino ad arrivare a 2 miliardi di persone. Certamente ha ragione il presidente del consiglio a pensare di raggiungere la migliore e più diffusa occupazione delle donne, giacché in Italia lavora solo una donna su due. Però si deve pur considerare che questa poca propensione al lavoro dipende da obblighi familiari verso i figli ed i propri anziani, dalla supplenza a cui sono chiamate a causa delle inefficienze dei servizi pubblici, alla grave inesistenza di sostegni per la maternità, da salari ormai fanalino di coda rispetto a paesi di antica e nuova industrializzazione.

Dunque il proposito di coinvolgere nel mercato del lavoro più donne, così come arginare l’emorragia di nostri giovani che emigrano, attratti prevalentemente da Europa dagli USA da stipendi molto più alti ha bisogno non di pie intenzioni ma di strategie in verità mai allestite. Ci vorranno dunque molti stranieri per coprire i continui vuoti che stiamo accumulando. Ci vorrà un impegno poderoso per selezionare le qualifiche di persone idonee per i fabbisogni delle imprese, ed ancor più a costruire rapporti e filtri con i paesi che intendono inviare capitale umano. Allora professionalizzarli dai luoghi di provenienza in collaborazione con le loro istituzioni, selezionarli e programmarli in collaborazione tra il nostro Stato e imprese, è l’impegno che durerà per molto tempo che presupporrà molta fatica. Certamente chi non vuole impegnarsi trova più comodo ricorrere al complottismo che mette in guardia verso chi starebbe progettando “la sostituzione etnica” o come fanno coloro che urlano contro questa bestialità con un altrettanto grave errore di pensare di accogliere immigrati senza preoccuparsi di sapere da dove vengono e cosa dovranno fare. Costoro farebbero bene a stare zitti ed impegnarsi di più. I miei nonni li avrebbero classificati tra coloro che parlando troppo, sparlano.

Raffaele Bonanni

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