Editoriale

L’aiuto umanitario contro la globalizzazione dell’indifferenza

Oggi, come ogni anno, si celebra in ogni nazione la Giornata Mondiale dell’Aiuto Umanitario. Il 19 agosto è una data carica di significato, dolore e testimonianza. Esattamente un ventennio fa, morirono in un attentato a Baghdad 22 operatori umanitari, tra cui il rappresentante Onu in Iraq, Sergio Vieira de Mello. Da allora le Nazioni Unite ne hanno fatto una solenne ricorrenza per rendere omaggio a tutti coloro che nel mondo aiutano le persone più povere, emarginate e vulnerabili. Un impegno prezioso (e spesso invisibile, ingrato, pericoloso fino al martirio) che si oppone alla “globalizzazione dell’indifferenza”.

Portando “il tesoro della vita in vasi di creta”, secondo la lezione dell’apostolo Paolo richiamata da papa Francesco. La fragilità umana, infatti, non offusca “lo splendore” del creato e di ciascuna creatura, ma ne rivela “la straordinaria potenza che deriva da Dio” (Cor 4,4.7). L’esortazione “Evangelii gaudium” sollecita proprio “ad offrire agli altri la testimonianza dell’amore salvifico che, al di là delle nostre imperfezioni. offre vicinanza e forza. E dona senso alla nostra vita”. Ogni anno, la Giornata Mondiale dell’Aiuto Umanitario si concentra su un tema, riunendo il terzo settore e le istituzioni benefiche per difendere la sopravvivenza, il benessere e la dignità delle persone colpite dalle crisi, oltreché la sicurezza degli operatori umanitari. Nel 2023 l’obiettivo della celebrazione è quello di evidenziare il costo umano immediato della crisi climatica, così da spronare i governanti dell’intero pianeta a “intraprendere un’azione climatica significativa”. A salvaguardia soprattutto delle persone più fragili ed esposte. L’emergenza ambientale sta provocando lutti e distruzione in tutti i paesi. Milioni di persone vulnerabili stanno già perdendo le loro case, i loro mezzi di sussistenza e le loro vite. Ad essere interpellate sono soprattutto le coscienze di noi credenti. “La fiducia nel Signore, l’esperienza della sua tenerezza, il conforto della sua compagnia non sono privilegi riservati a pochi – afferma il Pontefice-. La sua misericordia, al contrario, si lascia conoscere e incontrare in maniera tutta particolare da chi sente la necessità di abbandonarsi al Signore e di condividere con i fratelli”. Si tratta, dunque, di una saggezza che cresce man mano che aumenta la consapevolezza del proprio limite. È una “scelta del bene” che libera dalla tristezza del lamento. E apre a quel “magistero della fragilità” che può rendere le società più umane e fraterne. “La felicità è un pane che non si mangia da soli”, insegna papa Francesco. Solo la consapevolezza di aver bisogno l’uno dell’altro aiuta ad avere relazioni meno ostili con chi ci sta accanto.

E’ questa, quindi, la strada umanitaria verso la pace. Nessun popolo si salva da solo ed è interesse condiviso cercare soluzioni per i conflitti, a cominciare da quelli che insanguinano l’Ucraina, il Niger, il Sudan e decine di altre regioni del globo. “Quante persone nei teatri di guerra rimangono imprigionate nei luoghi dove si combatte e non hanno nemmeno la possibilità di fuggire? – si chiede il Santo Padre-. È necessario prestare loro speciale attenzione e facilitare in ogni modo il loro accesso agli aiuti umanitari”. Volontari, missionari e soccorritori di ogni nazionalità rendono il presente più accogliente perché “senza vulnerabilità, senza limiti, senza ostacoli da superare, non ci sarebbe vera umanità”. Al contrario la tentazione diabolica da rigettare è l’idea che la vita delle persone fragili valga meno delle altre. E invece non esistono un “noi” e un “loro”, ma un unico “noi”. L’incontro, l’aiuto umanitario e la fraternità concorrono ad abbattere i muri di incomprensione e a vincere la ghettizzazione, il rifiuto e la discriminazione consentendo l’accoglienza e la piena inclusione. Soprattutto dal Concilio in poi, la Chiesa ha avuto il merito storico di assumere su di sé il tema della libertà, della liberazione dei popoli dalla schiavitù dei totalitarismi e del bilanciamento della deriva individualista del modello consumistico di sviluppo. La missione dell’Ecclesia è fatta di profezia e Francesco lo testimonia quotidianamente, mostrando ciò che l’uomo di oggi non è più in grado di vedere a causa delle cataratte storiche o ideologiche che gli riducono la vista. E cioè gli uomini-scarto, l’urgente necessità di umanità di fratellanza con i migranti, la catastrofe ecologica che minaccia la vita principalmente dei popoli più poveri. Ecco perché il mondo ha bisogno di “aiuto umanitario”. E, come ripeteva Madre Teresa, “quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”.

don Aldo Buonaiuto

Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata

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