In questi giorni si è molto parlato della crisi afghana, di venti anni persi da parte delle presenze militari in quei territori, del dramma dei profughi, delle incognite riguardo il ritorno al medioevo di quel paese mediorientale, e del ruolo scardinante che potrà svolgere come base del terrorismo internazionale islamico.
Molti commentatori si sono impegnati a stigmatizzare il ritiro delle truppe statunitensi e dei suoi alleati responsabili del ritorno al controllo di tutto il paese e della costituzione dell’Emirato.
La situazione creatasi sicuramente crea sconcerto e frustrazione per i costi sostenuti, soprattutto in vite umane, ma le premesse per questo epilogo c’erano tutte da tempo.
Più Presidenti USA avevano dato segnali di disagio nel continuare ad assegnare agli States il ruolo di “gendarme del mondo”, pronunciamenti che avrebbero portato progressivamente ad un disimpegno nelle varie aree problematiche del mondo.
Lo fece per primo Barack Obama che ridimensionò ogni piano di intervento militare; poi lo fece rumorosamente anche Donald Trump abbandonando a se stessa la Siria ed annunciando appunto il disimpegno dall’Afghanistan; infine, lo sta facendo Joe Biden in Israele, confermando in generale le scelte del suo acerrimo nemico, il tycoon.
I motivi sono vari: economici, di politica interna, di progressiva penalizzazione per la popolarità dei presidenti impegnati in impegni militari. Gli USA si stanno allontanando dalla “dottrina” di garante della democrazia e delle politiche umanitarie.
Pesa la perdita sensibile del volume degli scambi commerciali, che porta il pil degli USA dal 20% di quello mondiale di venti anni fa ed a meno del 15% di oggi, nonostante l’espansione notevole in questo periodo dei commerci internazionali.
Conta anche l’influenza ancora viva di Trump che poggia sul “America first”. Ha avuto molto rilievo nelle scelte fatte, ma anche la realtà peculiare afghana che possiamo paragonare alle invitte tribù dell’Italia centrale nel rapporto con la grande Roma repubblicana. Sono ancora presenti le umiliazioni subite dall’impero inglese nell’800 e nei primi del 900, come d’altronde è stato per i russi appena trenta anni fa.
Ed intanto anche questa volta gli europei seguono pedissequamente a ruota la politica americana senza porsi l’interrogativo di cosa fare di fronte al continuo cambiamento di rapporti di potere nei vari scacchieri geopolitici a causa del disimpegno USA e dell’inserimento di Cina, Russia ed altre potenze regionali.
Questi cambiamenti, è banale ricordarlo, annunciano cambiamento dei rapporti commerciali e rottura delle garanzie di sicurezza per i paesi occidentali; per l’ Europa in primis. È di queste ore la notizia che l’ambasciatore russo già ha ufficializzato relazioni dirette con i talebani, mentre i cinesi, pur più silenziosi, hanno relazioni già ampiamente collaudati con costoro e sono ben saldamente presenti. Da questa storia si può dedurre che gli europei ancora una volta si trovano di fronte al solito dilemma: o assistere agli eventi assumendo integralmente le volontà altrui, o essere protagonisti come dovrebbe essere di questa epoca a salvaguardia del nostro futuro.
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