Dieci anni senza risarcimenti

Trecentonove morti e un decennio di attesa non sono bastati alle famiglie delle vittime del terremoto dell'Aquila per avere giustizia. Un castello di carte bollate tiene imprigionate, come in un romanzo di Kafka, centinaia di famiglie la cui vita è stata dilaniata dal tragico sisma e confinata in un labirinto burocratico dalla cronica lentezza della macchina giudiziaria e dalle lacune nel sistema amministrativo di tutela dei sopravvissuti a una calamità naturale.

Antonietta Centofanti, lei presiede il Comitato delle Vittime della Casa dello studente dell'Aquila. Chi ha perso nel terremoto?
“Mio nipote Davide, 19 anni. Aveva già superato gli esami di ingegneria gestionale necessari per ottenere la borsa di studio dell’anno accademico successivo. È morto nel crollo insieme ad altri sette ragazzi che risiedevano alla Casa dello studente”.

Cosa chiedete al governo?
“Abbiamo già incontrato più volte il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede come rete nazionale dei familiari delle vittime di calamità naturali e stragi. La rete nazionale familiari vittime “Noi non dimentichiamo” prese il via proprio dall'Aquila, in occasione del terzo anniversario del sisma del 6 aprile 2009, per iniziativa del Comitato Familiari Vittime Casa dello Studente ed in stretta collaborazione con i familiari delle vittime di Viareggio. Da allora, la Rete è cresciuta mettendo insieme pezzi di storie e tragedie di tutta Italia. Una condivisione che ha visto i vari comitati nelle aule dei tribunali, per sostenere comuni battaglie di giustizia, o presenti alle celebrazioni degli anniversari delle stragi di turno, tra le quali il rogo alla ThyssenKrupp, il crollo della scuola a San Giuliano di Puglia, il ponte Morandi a Genova. Abbiamo trovato nel Guardasigilli attenzione e rispetto. Ora speriamo che nella riforma della giustizia si tenga conto delle nostre richieste”.

Quali provvedimenti avete sollecitato al Guardasigilli?  
“Abbiamo proposto al ministro Bonafede l'istituzione di un fondo per i familiari delle vittime dal quale, all’inizio dei processi, possano attingere le risorse necessarie per sostenere le spese legali. Molte famiglie non sono in grado di far fronte a questi costi rilevanti e perciò rinunciano a chiedere giustizia com’è invece loro diritto. Oppure si fermano per motivi economici perché i processi vanno avanti per anni e le spese da affrontare sono notevoli. Inoltre abbiamo chiesto al Guardasigilli che per questo tipo di reati venga abolita la prescrizione. Responsabilità così gravi non possono essere cancellate perché la macchina della giustizia è troppo lenta. Ciò che noi familiari non verrà mai prescritto nei nostri cuori irreversibilmente segnati da dolori atroci”.

Cosa  non funziona nei meccanismi giudiziari?
“Le procedure devono essere velocizzate. Accelerare l'iter consentirebbe di fare i processi in tempi ragionevoli. Il fondo è necessario proprio perché più si protraggono le lungaggini burocratiche più spese in sede processuale dobbiamo fronteggiare noi familiari delle vittime”.

 Nel pacchetto di provvedimenti chiesti al governo si parla anche dei risarcimenti ai familiari delle vittime?
“Sì. Vanno rivisti i tempi dei risarcimenti. Abbiamo posto la questione al tavolo con il Guardasigilli e speriamo che stavolta si arrivi fino in fondo. Il verdetto del processo sulla 'Grandi rischi' è arrivato in Cassazione. Altri processi per il terremoto dell’Aquila sono ancora in corso a dieci anni dal terremoto. Alcuni sono arrivati al primo grado di giudizio con un risarcimento stabilito ma poi la controparte ha fatto appello e si va avanti in un iter giudiziario che dura molti anni. I risarcimenti ai familiari delle vittime sono legati a procedure lunghissime. L’appello degli enti e soggetti sotto processo dilatano ulteriormente i tempi. Adesso che si sta mettendo mano alla riforma della giustizia, l'intera questione dei risarcimenti va rivista. Tra processo penale e civile, non si possono aspettare 15, 20 anni per essere risarciti”.