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La radice storica della battaglia sul “fine vita”. L’utile lezione della Costituente

Sul “fine vita” cattolici e laici contrapposti come 75 anni fa sull’inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione. L’ Associazione Amici di Pensare Cristiano svolge la missione a partire dalla consapevolezza che i cristiani, oggi più che mai sono chiamati ad una testimonianza coerente e credibile. Per difendere i valori in cui credono. Valori come la famiglia. La vita. La dignità della persona umana. L’etica. La solidarietà. L’integrazione. L’interculturalità. Il dialogo e il lavoro.

Il no della Consulta

Spiega il teologo don Renzo Caseri: “Non è stato accolto il tentativo dei radicali di introdurre l’eutanasia. Cioè la libertà per qualunque malato di farsi dare la morte dal sistema sanitario. Così come non si può parlare di ‘diritto di morire‘. Apertamente escluso dall’ordinanza con la quale la Consulta ha dichiarato inammissibile il referendum sull’omicidio del consenziente“. Però, aggiunge don Caseri, “non è a mio parere del tutto escluso che il testo contenga possibili interpretazioni eutanasiche“. La questione decisiva riguarda un punto. Ossia il “supporto e il sostegno del servizio sanitario” che deve essere prestato all’atto “autonomo”. Con cui il malato “pone fine alla propria vita in modo volontario”.

Precedente storico

Sul fine vita è in corso un acceso confronto tra laici e cattolici. Un precedente che fornisce utili indicazioni è rappresentato da ciò che sette decenni fa accadde fra Dc e Pc. All’Assemblea Costituente (organo legislativo elettivo preposto alla stesura della Costituzione 1946-48) andò in scena il prologo di un rapporto-scontro decennale tra i due maggiori partiti italiani. Fino ad approdare trent’anni dopo nel “compromesso storico” tra Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. Uno spaccato quanto mai attuale nelle complesse relazioni tra mondo laico e quello cattolico. Come dimostrano le odierne dispute sul fine vita e altri nodi bioetici della vita politica.

Cattolici e laici per la Carta

Tutto ciò era già presente “in nuce” nella battaglia sull’articolo 7 della legge fondamentale dello Stato. “Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani- recita la Carta-. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. Nell’articolo 7, quindi, Stato e Chiesa si riconoscono “indipendenti e sovrani”. Una questione che più di altre segnalarono
il conflitto culturale tra l’anima laica della Costituente e quella cattolica. E in quella
occasione si consumò una sorta di “tradimento” da parte di Palmiro Togliatti. A raccontarlo fu tra gli altri Piero Calamandrei. In uno storico articolo apparso dopo il voto sulla rivista da lui fondata.

Scontro

L’11 febbraio 1929 Benito Mussolini firmava i Patti lateranensi, risolvendo la quasi sessantennale “questione romana”. E creando uno dei più saldi pilastri del suo regime. 18 anni dopo, in un contesto politico ribaltato, la validità di quell’accordo veniva confermata dall’articolo 7 della Costituzione. La materia regolata dall’articolo 7 fu tra quelle che divisero maggiormente i Padri Costituenti. Tra cattolici (la Dc) e laici lo scontro fu durissimo. Non mancarono né le minacce più o meno velate. Né i veri e propri voltafaccia. Fondamentali furono i discorsi all’Assemblea Costituente di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti. Fino ad un epilogo in larga misura imprevisto. Calamandrei analizzò “quali sono stati i veri motivi che hanno portato all’approvazione a grande maggioranza, coll’appoggio dei comunisti, dell’articolo 7 della Costituzione.

Sedute plenarie

Significativi furono gli interventi del leader democristiano e di quello comunista alle sedute plenarie dell’Assemblea Costituente dal 4 al 25 marzo 1947. Cioè quelle che hanno preceduto il voto sull’articolo 7. Ma bisogna anche risalire alle discussioni
preparatorie. Quelle che hanno preso le mosse dalla prima sottocommissione (sedute del 21 novembre e 18 dicembre 1946). Passate attraverso la commissione dei Settantacinque (seduta del 23 gennaio 1947). E solo alla fine approdate all’assemblea plenaria.

Approssimazioni

“Gli articoli del progetto di Costituzione sottoposto all’approvazione dell’assemblea non sono usciti tutti in un colpo- sottolineò il politico e intellettuale del Partito d’Azione, Piero Calamandrei-. Da un’unica ispirazione. E da un proposito concorde. Ma sono stati faticosamente aggiustati uno ad uno. Per graduali approssimazioni. Attraverso una serie di contrasti, di adattamenti e di ritocchi. Fino a trovare il punto di incontro. Ossia un equilibrio tra esigenze e ideologie divergenti e spesso antitetiche”. La discussione dalla quale è nata, nella prima sottocommissione, la formula dell’articolo 5 (che è poi passata quasi immutata nell‘articolo 7 della Costituzione) viene riportata nei resoconti parlamentari in modo essenziale. Ossia quale “discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti”. 

Il ruolo di Moro e Dossetti

“Ma in realtà il “punctum pruriens” che si nascondeva dietro questa intitolazione anodina era quello delle relazioni tra Stato e Chiesa- puntualizzò Calamandrei-. E proprio in vista di questa questione scottante la Democrazia Cristiana aveva abilmente concentrato in questa prima sotto-commissione, composta in tutto di 18
deputati, i suoi rappresentanti più qualificati. Per destrezza parlamentare, come il presidente della stessa sotto-commissione l’avvocato Umberto Tupini. O per dottrina giuridica e fervore religioso. Come i professori Giuseppe Dossetti, Giorgio
La Pira, Aldo Moro e Carmelo Caristia”. Una lezione valida ancora oggi.

Giacomo Galeazzi

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