Per chi è nato e cresciuto in occidente risulta difficile immaginare che esistano persone nel mondo a cui è negato il diritto di avere l’acqua potabile. Le stime dell’Unicef sono allarmanti in quanto indicano che 2 miliardi di persone non hanno acqua sicura da bere e che milioni di famiglie non godono di servizi idrici e igienici adeguati. Le conseguenze sono devastanti e ogni anno, sempre secondo l’Unicef, almeno 1,4 milioni di persone muoiono a causa dell’acqua non potabile e della mancanza di igiene.
Di questo tema Interris.it ne ha parlato con Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef, associazione impegnata a garantire che tutti gli uomini possano avere accesso all’acqua pulita e possano contare su servizi igienici a norma come per esempio dei gabinetti e un sistema di fognatura.
Andrea, cosa si rischia in questa situazione?
“Stiamo parlando di Paesi con condizioni sanitarie gravi e con una carenza di vaccinazioni. Venendo meno la protezione, il contatto con acqua contaminata porta a malattie letali come per esempio il colera, l’epatite A, il tifo, la poliomielite o semplicemente la diarrea acuta che, da sola, ogni giorno uccide 700 bambini al di sotto dei 5 anni. Inoltre, c’è il problema delle pratiche igieniche ed è raccapricciante pensare che le stesse strutture di assistenza sanitaria, non dispongano di acqua pulita, di sapone e di soluzioni igienizzanti per le mani a base di alcol”.
Quali sono invece le conseguenze socio-economiche?
“I risvolti sono altrettanto devastanti. Senza questi servizi fondamentali, le persone si ammalano, i bambini non si istruiscono ed intere comunità spesso diventano sfollate. I benefici dell’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici sono incommensurabili in quanto garantiscono uno sviluppo sano dei bambini e il benessere degli adulti. Questa condizione di salute offre la possibilità di un più ampio progresso sociale ed economico e ha un impatto positivo sulla produttività delle singole comunità”.
Perché esistono ancora Paesi a cui è negato il diritto all’acqua potabile?
“Questa situazione riguarda sopratutto alcune zone dell’Africa e del Sud-Est asiatico . A seconda del Paese la causa è diversa. Per esempio nelle zone colpite dal terremoto, come la Turchia, l’acqua non è più potabile. Stessa cosa vale per quelle aeree molto calde esposte al rischio di cambiamento climatico, e qui vorrei ricordare che sono un miliardo le persone nel mondo che vivono in Paesi a rischio. La platea si allarga se consideriamo pure tutte le zone colpite da grandi conflitti come la Siria e lo Yemen in cui mancano i sistemi di potabilizzazione dell’acqua, mentre in Ucraina per esempio le bombe hanno distrutto gli acquedotti e hanno reso l’acqua non più utilizzabile”.
Che interventi servono per risolvere questo problema?
“É fondamentale sviluppare un piano per aumentare l’impegno politico nei confronti dell’acqua potabile e dei servizi igienici. Per farlo è necessario tenere in considerazione le esigenze delle regioni in cui operiamo e di conseguenza si deve trovare una strategia che permetta ad ogni Paese di accedere a dei fondi per finanziare le spese. Questi interventi sono urgenti perché la nostra previsione è che entro il 2040 un bambino su quattro vivrà in aree con un grande stress idrico per cui il trend è in aumento. Concludo che serve anche un cambio di mentalità e la presa di coscienza che l’acqua potabile è vita, e che l’igiene è un diritto importante di cui tutti dobbiamo usufruire”.
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