No alla pena alternativa, sì a una pena educativa. E’ questo il pensiero di Giorgio Pieri, coordinatore del progetto Cec – Comunità educanti con i carcerati – della Comunità Papa Giovanni XXIII, associazione fondata dal servo di Dio don Oreste Benzi, intervistato da Interris.it, sulle problematiche delle carceri italiane, tornate prepotentemente al centro della cronaca italiana in seguito ai due suicidi che si sono verificati la settimana scorsa. In un videomessaggio, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha dichiarato che il suo primo pensiero va “alla memoria di chi ha compiuto la drammatica scelta di torgliersi la vita. E’ una consuetudine non solo nazionale ma mondiale. E’ una tragedia che dobbiamo fare di tutto per ridurre se non eliminarla. Ogni suicidio è una sconfitta per lo Stato, per la giustizia e mia personale“.
Le carceri troppo spesso dimenticate
“Troppo spesso il carcere viene dimenticato soprattutto in questo periodo quando le persone sono in ferie – ha dichiarato il ministro nel videomessaggio inviato lo scorso agosto -. La circolare emanata di recente per aumentare l’aiuto psicologico ai detenuti che versano in condizione di particolare disagio si inserisce in una volontà più ampia di vicinanza verso i detenuti. Lo Stato deve garantire la certezza della pena ma non dobbiamo dimenticare che la pena deve avere un significato rieducativo non solo perché lo impone la Costituzione ma perché ce lo impone l’etica. Non esistono soluzioni immediate e facili, bacchette magiche. Ma stiamo lavorando con la massima priorità per ridurre i disagi“.
Pieri (Apg23): “Proporre diversi percorsi educativi per i detenuti”
“I suicidi in carcere si verificano 18 volte in più rispetto al mondo esterno. Il problema non sono i detenuti, ma il sistema carcere. Basti pensare che dal 2000 ad oggi sono quasi 150 gli agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita – spiega Giorgio Pieri -. Il problema delle carceri è un fallimento del governo, ma non solo di questo che è in carica ora, ma anche dei precedenti. Il problema non è solo il sovraffollamento, ma tutto il sistema carcere, cioè di come viene gestita la persona all’interno di un istituto penitenziario”. Pieri, inoltre, spiega di non essere d’accordo sull’idea di dividere i detenuti e stabilire la loro pericolosità in base al reato che hanno commesso. “Ovviamente, questo rimane un indicatore importante, ma come Apg23 abbiamo compreso che non dobbiamo dividere i detenuti in base alla loro pericolosità – ha aggiunto -. E’ necessario proporre diversi percorsi educativi che tengano conto dell’uomo. La proposta di aprire le caserme per trasferire i detenuti è anche interessante, a patto che che ci sia la volontà e la capacità di fare percorsi educativi ad hoc per ogni persona“.
L’esperienza del Cec
“Non si può continuare a parlare di pene alternative come soluzione, ma bisogna iniziare a parlare di pene educative alternative al carcere. Proprio per questo noi, come Apg23, proponiamo delle comunità, dove la persona è all’interno di un ambiente terapeutico ed educativo – spiega -. Oltre la certezza della pena, la nostra società deve essere in grado di garantire la certezza del recupero. Questo è possibile, possiamo vedere l’esperienza delle Apac (associazioni di assistenza e protezione dei condannati) nata 56 anni fa. Lo stato brasiliano del Minas Gerais ha chiuso tante carceri tradizionali per aprire quelle a metodo Apac, dove la dimensione educativa quella della vigilanza – prosegue -. Il risultato è che la recidiva diminuisce dall’80% al 15%. In Italia, è attiva l’esperienza delle Comunità educanti con i carcerati dell’Apg23, sono dieci case, alcune delle quali hanno compiuto venti anni, quindi parliamo di una sperimentazione valida – spiega Giorgio Pieri -: la dimensione educativa predomina su quella della vigilanza“.
L’uomo non è il suo errore
“L’uomo non è il suo errore“, diceva sempre don Oreste Benzi. Una frase che ci invita a guardare l’uomo e non gli sbagli che può aver commesso nel corso della sua vita: per questo è necessario passare dalla certezza della pena alla certezza del recupero. Questo era il sogno di don Oreste.