Le stragi dello Stato Islamico sono quotidiane, e non le fermano neanche rinforzi e raid della Coalizione internazionale. Oltre ai kurdi, ai sunniti e ai civili iracheni e siriani, tra i maggiori colpiti in quello che potrebbe esser definito un “plurimo genocidio” ci sono i cristiani: negli ultimi mesi, infatti, sono fuggiti dalle loro terre tra 120mila e 130mila cristiani iracheni. Almeno 3000 provengono da Mosul e l’autoproclamato califfato ha messo all’asta le loro case, contrassegnate dalla “n” di Nazareni.
La maggior parte di queste persone, oggi, è sparsa nei campi profughi della Giordania e del Kurdistan iracheno. I cristiani, in Iraq, devono scegliere tra la conversione forzata, la fuga o la morte. Le loro case vengono vendute e le loro chiese trasformate in moschee. Le donne sono schiavizzate e i miliziani hanno anche imposto un tariffario per la loro “vendita”: tra i 50 e i 100 euro, in base all’età. Per tutti i bambini da uno a nove anni, poi, la tariffa è di 200mila dinari, poco meno di 140 euro.
Nel campo profughi di Arbil, nel Kurdistan iracheno, c’è necessitò di cibo, coperte, kit igienico-sanitari, istruzione per i più piccoli; l’arcivescovo della diocesi di Erbil spiega che “Mosul è tornata al Medioevo, gli yazidi sono stati vittime di un genocidio e i cristiani di una pulizia etnica”. E se i conflitti in Iraq e Siria non saranno risolti al più presto, uno dei maggiori rischi in cui si incorre è quello della definitiva scomparsa dei cristiani dalla regione.
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