L’India continua a dimostrarsi per i cattolici un Paese talvolta molto poco ospitale. Come riferisce AsiaNews, il governo del Madhya Pradesh ha chiuso un collegio cattolico che da 20 anni offriva ospitalità ai tribali poveri della zona.
La motivazione ufficiale, diffusa dalle autorità, è che il collegio non avrebbe gli adeguati permessi e sorgerebbe su un terreno non di sua proprietà. C’è poi un’accusa specifica nei confronti dei religiosi cattolici: secondo i nazionalisti indù, essi accoglierebbero i giovani tribali con l’obiettivo di convertirli.
Accuse respinte dai vescovi della zona. Ad AsiaNews mons. Anthony Chirayath, vescovo di Sagar, sotto la cui giurisdizione rientra il collegio, denuncia che lo scopo degli accusatori “è scacciare i cristiani da quest’area. Qui ci sono solo due famiglie cristiane e ieri una di loro mi ha detto di aver ricevuto minacce. Ora vive nella paura”. Il vescovo sottolinea che la polizia ha condotto le sue indagini “e ha rilevato che la presunta accusa di aver convertito 200 persone è falsa“. Mons. Chirayath spiega inoltre che gli agenti hanno verificato che “la proprietà appartiene davvero alla Chiesa, quindi non c’è nulla di illegale per quanto riguarda la terra su cui sorge la struttura. Vogliono solo molestarci”. Parla di “molestie contro i cristiani e di un’atmosfera anti-cristiana che circonda la nostra missione” anche mons. Leo Cornelio, arcivescovo di Bhopal.
I sigilli alla struttura cattolica sono già stati messi. Malgrado le proteste di padre Siljo Kidangan, incaricato dell’ostello, i ragazzi ospitati sono stati prelevati e trasferiti in un altro collegio governativo. L’ex direttore sottolinea che la missione cattolica “dava alloggio ad alunni poveri che studiano nella vicina scuola pubblica. Tra questi ci sono anche scolari brillanti che sono stati selezionati ed ammessi a scuole migliori, che forniranno loro un’educazione di più alto livello”. Secondo padre Kidangan, le autorità hanno ricevuto pressioni dai nazionalisti indù.
Ora le gerarchie ecclesiastiche hanno presentato un appello all’Alta corte dello Stato indiano. “Speriamo in una decisioni a nostro favore – conclude padre Kidangan – anche se il processo potrebbe durare a lungo”.
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