Il 25 giugno scorso l'Unione Europea ha annunciato di voler inasprire le sanzioni commerciali al Myanmar per contrastare la sistematica violazione dei diritti dell'uomo che vi avviene.
Recentemente, l'Onu ha stilato un rapporto che denuncia uccisioni e stupri di massa di cui si sono resi responsabili i militari birmani. A farne le spese, non soltanto i mussulmani Rohingya, ma anche le altre minoranze del Paese come quella cristiana dei Kachin. In questi giorni è presente in Birmania una delegazione dell'Unione Europea incaricata di stabilire se procedere o meno con l'imposizione delle sanzioni minacciata nei mesi scorsi da Bruxelles.
Contro le misure sanzionatorie si è espresso il Cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon. Il porporato salesiano ha dichiarato: “Sono del tutto contrario a qualsiasi forma di sanzione o embargo contro il Myanmar. L'esperienza – ha osservato l'arcivescovo – insegna che questo tipo di provvedimenti danneggia solo le fasce più povere della popolazione. Saranno loro a soffrirne le conseguenze, certo non chi è ricco e potente”. Il cardinal Bo ha difeso il nuovo corso intrapreso dalle istituzioni politiche del Paese: “I giudizi e le critiche provenienti dall'Occidente non tengono conto che governo e militari, in particolare Aung San Suu Kyi, stanno lavorando sodo insieme per costruire un futuro di pace per il Paese. Posso assicurare che, dopo sessant'anni di giunta militare, la signora sta tentando di unire la nazione coinvolgendo l'esercito nel processo. È un cammino lungo, ma le priorità sono la pace e l'unità del Myanmar. Queste sono più importanti di qualunque interferenza esterna”.
C'è da dire che la politica, premio Nobel per la pace nel 1991, da Consigliere di Stato della Birmania è finita sotto accusa a livello internazionale per non aver denunciato pubblicamente i crimini commessi dai militari. Proprio per questo motivo, il Parlamento canadese ha deciso recentemente di ritirarle la cittadinanza onoraria che le era stata precedentemente assegnata proprio per il suo impegno contro la giunta militare,
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