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Fede e geopolitica, nuova tappa del dialogo

Continuare il percorso inaugurato lo scorso 4 febbraio con la dichiarazione di Abu Dhabi firmata da Papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, che ricopre la più alta carica del mondo musulmano sunnita. Questo lo scopo dell'evento organizzato a Roma l’8 di luglio dalla Comunità religiosa islamica nella sala dei gruppi parlamentari, a due passi da palazzo Chigi. Un incontro che ha visto la presenza di nomi importanti del mondo confessionale e politico e che si è concentrato sul dialogo interreligioso.

Le basi del dialogo

Nel discorso di apertura dei lavori che la vice presidente della Camera Mara Carfagna ha consegnato alla platea viene messo in luce il ruolo della religione negli ultimi 70 anni. “Il lungo periodo di pace e di benessere in Europa che è seguito alla fine del secondo conflitto mondiale è stato certamente il frutto di grandi movimenti democratici” e del lavoro di grandi personalità politiche che hanno lavorato per far crescere l’integrazione tra i paesi del vecchio continente. Tuttavia, un ruolo fondamentale lo hanno giocato anche le diverse fedi e “la loro volontà di incontrarsi” rivedendo “criticamente alcune scelte del proprio passato, aprendo così strade di dialogo prima impensabili. Vi è stata la ricerca di un patrimonio comune di valori spirituali”, con una condanna comune della violenza e soprattutto di quella religiosa, ha concluso la onorevole Carfagna. Si tratta di un metodo – oltre che di una pratica – che, secondo il presidente del Concilio mondiale delle comunità islamiche, Ali Rashid Al Nuaimi, deve necessariamente passare attraverso la comprensione dei valori e delle esperienze comuni: “tutti noi siamo esseri umani, per questa ragione abbiamo moltissime cose in comune che possiamo condividere. Abbiamo dei valori comuni che sono presenti in maniera radicata nelle nostre religioni, nelle nostre culture e nelle nostre civiltà”. Secondo il presidente Rashid Al Nuaimi esistono però alcune frange che hanno interesse a rompere questo legame, gruppi che “perseguono l'obbiettivo di fare leva sulle religioni per soddisfare i loro programmi” e rompere il sentire comune.

Il ruolo della Fede

Tra gli attori internazionali “negli ultimi 5 o 6 anni si è talmente affermata l'importanza della conoscenza del fenomeno religioso e la consapevolezza del suo ruolo nelle relazioni internazionali” che ormai le due sfere non si possono più scindere l'uno dall'altro, spiega Armando Barucco, ministro plenipotenziario e capo dell'Unità di analisi, programmazione, statistica e documentazione storica della Farnesina. In questo senso, sottolinea l'ex diplomatico, attività come “la costituzione di quella che aspira ad essere la principale biblioteca delle dottrine e dei saperi islamici in Europa” nella biblioteca la Pira di Palermo, sono fondamentali. In questo senso il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato durante il Viaggio Apostolico del Santo Padre negli Emirati Arabi, riveste quasi il ruolo di guida pratica. Uno dei temi centrali del documento riguarda il fenomeno delle migrazioni. “Oggi nel mondo ci sono 258 milioni di migranti internazionali, che formano circa il 3% della popolazione mondiale”. La dichiarazione sottolinea alcune delle cause delle migrazioni, tra cui le guerre, le crisi politiche e la mancanza di una distribuzione equa delle risorse. “Si tratta di una sfida che dovremmo affrontare tutti insieme come umanità” ragiona Paola Alvarez, esperta per il Mediterraneo dell'Organizzazione Internazionale delle migrazioni. Nello specifico, spiega padre Aloysius Mowe, un gesuita malese con studi islamici che lavora nel Servizio dei Gesuiti per i rifugiati, “È per me straordinario trovare in questo documento la centralità dei dimenticati e degli sfollati, che non sono più fuori dagli interessi internazionali, non sono più invisibili”. Un dato che negli anni ha continuato a salire e che solo l'anno scorso ha riguardato più di “70 milioni di persone, forzate a lasciare le proprie case”.

Il dialogo come antidoto

“Credo che occorra fare riferimento a uno scenario geopolitico che cambia, a un ciclo storico che si aggiorna continuamente” illustra Yahya Pallavicini, il presidente del Coreis . “Noi come Comunità religiosa islamica italiana nasciamo nel 1986 su ispirazione di mio padre, quando venne chiamato come rappresentate dell'Islam italiano ad Assisi, su invito di San Papa Giovanni Paolo II”, in un momento in cui la Santa Sede investì in un'apertura verso le altre religioni, anticipando “quella che poi sarebbe stata la Dichiarazione di Abu Dhabi”. Infatti, la Dichiarazione “richiama per ben due volte i responsabili delle istituzioni civili e politiche a mettere in atto iniziative volte a promuovere la pace nel riconoscimento del lavoro dell'altro”, sottolinea Don Valentino Cottini del Pontificio istituto di studi arabi e di islamistica. Troppe volte i numerosi documenti siglati non sono riusciti a raggiungere il piano “della strada”, spesso per la latitanza della politica. Quella del dialogo tra religioni è una strada che può dare grandissimi risultati,anche in termini di sicurezza. Secondo il Brigadiere Generale della scuola militare della Nato, David Pincet, che però interviene personalmente, stabilire un dialogo costruttivo intorno a dei valori comuni rappresenta un forte incentivo alla pace. E ricorda, con una punta di ottimismo, che “la metà delle nazioni che aderiscono alla Nato sono paesi del medio Oriente”.

 

William Valentini

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