Viaggiare, per Giovanni Paolo II, era anche un modo per ricucire strappi, sanare ferite secolari, rileggere pagine storiche e riannodare i fili della memoria collettiva”, spiega Gianfranco Svidercoschi, ex vicedirettore dell'Osservatore Romano, amico personale di Karol Wojtyla e decano dei vaticanisti. Tappe di un pontificato itinerante che girava il mondo camminando su due solide gambe: una pastorale-religiosa e una diplomatico-geopolitica. Dove è Pietro, lì è la Chiesa e così anche la Curia si adeguò al nuovo corso “globetrotter” del governo universale della Chiesa. Per spiegare la sua partecipazione ai viaggi internazionali del Pontefice, mentre in molti volevano che restasse a Roma a gestire gli affari correnti, il cardinale Agostino Casaroli, principale collaboratore di Karol Wojtyla dal 1979 al 1990 coniò un’espressione divenuta proverbiale: “Il segretario di Stato è una specie di meridiana che può indicare l'ora solo se c'è il sole, altrimenti non funziona”. Nonostante le critiche, più o meno velate, rivoltegli anche dall'interno della Chiesa, Casaroli, in assoluta comunione di intenti con Giovanni Paolo II impostò con coerenza una linea diplomatica che si rivelò vincente, avendo avuto un ruolo non secondario nella progressiva disgregazione dei regimi comunisti, fino alla decisiva svolta del 1989.
La visita-pellegrinaggio di Wojtyla ad Auschwitz–Birkenau (7 giugno 1979) fu la prima di un Papa in questo sacrario del dolore. Celebrò l’Eucaristia e pronunciò una commovente omelia che aprì con queste parole: “Luogo costruito sull’odio e sul disprezzo dell’uomo nel nome di un’ideologia folle, luogo costruito sulla crudeltà. Ad esso conduce una porta, ancora oggi esistente, sulla quale è posta una iscrizione: 'Arbeit macht frei', che ha un suono beffardo, perché il suo contenuto era radicalmente contraddetto da quanto avveniva qua dentro”. Dopodiché Karol Wojtyla osservò con forza: “Può ancora meravigliarsi qualcuno che il Papa, nato ed educato in questa terra, il Papa che è venuto alla Sede di San Pietro dalla diocesi sul cui territorio si trova il campo di Auschwitz, abbia iniziato la sua prima Enciclica con le parole Redemptor Hominis e che l’abbia dedicata nell’insieme alla causa dell’uomo, alla dignità dell’uomo, alle minacce contro di lui e infine ai suoi diritti inalienabili che così facilmente possono essere calpestati ed annientati dai suoi simili? Basta rivestire l’uomo di una divisa diversa, armarlo dell’apparato della violenza, basta imporgli l’ideologia nella quale i diritti dell’uomo sono sottomessi alle esigenze del sistema, completamente sottomessi, così da non esistere di fatto?”.
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