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“I francesi devono morire”. A Nizza un bimbo di 8 anni interrogato per apologia di terrorismo

Se la follia integralista coinvolge anche un bambino 8 anni vuole dire che la crisi di valori ha raggiunto il suo acume. E se la polizia sente la necessità di interrogarlo per apologia di terrorismo significa, senza giri di parole, che il fondamentalismo ha già raggiunto il suo scopo: sconvolgere il nostro modo di vivere e quindi il nostro concetto di civiltà. Il fatto è avvenuto nella Francia ancora sconvolta per l’eccidio di Parigi del 7 gennaio. All’indomani della strage il docente di una scuola di Nizza ha chiesto ai suoi bambini se condividessero il motto “Je suis Charlie”, un alunno musulmano si è alzato e ha risposto “no” affermando poi di stare “dalla parte dei terroristi” perché era stato “insultato il profeta Maometto” e i giornalisti se la erano cercata.

Poi non ha partecipato al minuto di silenzio indetto a livello nazionale. A presentare informare dell’accaduto le forze dell’ordine è stato il direttore dell’istituto, nel verbale si legge che Ahmed (questo il suo nome) avrebbe anche detto che “bisogna uccidere i francesi”. Il bambino è stato denunciato per apologia di terrorismo e il padre per “intrusione”, visto che, avendo visto il figlio sconvolto, lo ha accompagnato sin dentro il cortile della ricreazione, nel quale agli adulti non è permesso di entrare. Lo scorso mercoledì padre e figlio sono stati messi sotto torchio per due ore da parte della polizia. In modo particolarmente pesante secondo il “Collettivo contro l’Islamofobia in Francia” che li ha descritti come “sconvolti dal trattamento ricevuto”.

Il papà si sarebbe, fra l’altro, detto rammaricato di quanto detto dal piccolo. “Interrogare un bimbo di 8 anni riflette lo stato di isteria collettiva attuale intorno alla nozione di apologia del terrorismo. In questo tipo di casi, è necessaria la pedagogia”, ha spiegato l’avvocato della famiglia, Sefen Guez, secondo cui il comportamento del preside è stato “inammissibile”. Il legale ha raccontato su Twitter che, quando gli agenti hanno interrogato il ragazzino sul significato della parola terrorismo, lui non ha saputo rispondere: “È assurdo – ha rimarcato – che si siano prese sul serio le parole di un bambino che non capisce cosa dice”.

Luca La Mantia

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