“Stiamo tagliando legname più di rapidamente di quanto gli alberi riescano a ricrescere – incalza il rapporto – e pompiamo acqua dolce più velocemente di quanto le acque sotterranee riforniscano le fonti”. Per non parlare poi dell’estrazione della sabbia, che in continenti come Asia ed Africa sta facendo scomparire centinaia di spiagge e del rilascio di Co2, impiegato per il 40% solo dalla Cina, per il 15% dagli Stati Uniti e per il 10% dall’Ue. La situazione più grave, conclude lo studio, è quella europea: l’indicatore dell’impronta ecologica, infatti, mostra che tutti gli stati del Vecchio Continente vivono oltre i livelli di “un pianeta”, facendo pesantemente affidamento sulle risorse naturali di altri Paesi. La sopravvivenza, per l’uomo , rende necessario da sempre lo sfruttamento di caccia, pesca e prelievo di materie prime quali acqua, legno e sabbia. Ma tra il sopravvivere e il vivere, tra il produrre e il correre verso il profitto senza preoccuparsi di gettare un occhio sul mondo, inizia a porsi una linea di demarcazione troppo grande, troppo disastrosa per essere ignorata. Per “vivere alla grande” stiamo uccidendo il Pianeta. Senza accorgerci che del suo ecosistema, da sempre, facciamo parte anche noi.
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