È il primo Papa gesuita nella storia della Chiesa. Oggi Papa Francesco ricorda il suo 62esimo anno dall’ingresso nella Compagnia di Gesù, nel 1958. Un cammino, per il Pontefice argentino, costellato di sfide e tempi di grazia, come lui stesso ha spesso ricordato. Il suo legame con l’Ordine fondato dal basco sant’Ignazio di Loyola è forte anche nella missione universale del suo Pontificato, e lo mostra il tempo che riesce sempre a ritagliarsi con i Gesuiti durante i viaggi apostolici per il Mondo. Interris.it ha chiesto una riflessione al gesuita padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica.
A proposito della sua formazione in seno alla Compagnia di Gesù, il Pontefice ha affrontato varie sfide, come la dittatura argentina…
“Sì, la sua formazione e la sua vita nella Compagnia non è stata semplicissima: gli ha richiesto sfide di ordine personale, spirituale e anche politico. Ha dovuto affrontare un travaglio interno e spirituale. Basti pensare alla sua nomina a vescovo, avvenuta in un tempo difficile per la sua vita. Tuttavia, è interessante capire come fare esperienza di quelle difficoltà sia tornato utile oggi e stia giocando un importante ruolo nel suo Pontificato”.
Tempo fa, su La Civiltà Cattolica, riportava una frase di Sant’Ignazio: “Essere un gesuita significa innanzitutto occuparsi di Dio”. Che significato ha oggi questa massima alla luce delle sfide del mondo globale, in ultimo quella che stiamo vivendo?
“Sant’Ignazio soleva ripetere quella frase per ricordare ai Gesuiti di essere consapevoli delle proprie radici, di trovare cioè quella forza spirituale per andare al di là delle forme e toccare la sostanza delle cose. È un appello alla radicalità del Vangelo che è fondamentale in Papa Francesco. Un appello, aggiungerei, che accomuna tutti i grandi Santi, a partire da san Francesco, a cui il Papa fa riferimento. Questo messaggio di radicalità diviene un punto di riferimento oggi e colpisce molto, arrivando anche ai fedeli di altre religioni e ai non credenti”.
In questo momento di allerta sanitaria globale stiamo sperimentando un isolamento nuovo, dove i nostri corpi diventano confine per l’altro. Il Papa stesso non ha negato questa sofferenza umana, definendosi “ingabbiato” nell’ultimo Angelus. Come cambia il modo di comunicare la Chiesa per un Pontefice che ha come caratteristica la prossimità, anche fisica, agli ultimi?
“Oggi ci viene chiesto di essere ‘separati’ secondo le direttive sanitarie e la Chiesa è rispettosa di tali misure. Lo fa per il bene di tutti, della salute delle persone. E propone la necessità e la bellezza di affrontare insieme, spiritualmente uniti, le grandi sfide del momento. Il fatto di essere separati fisicamente non vuol dire che lo siamo spiritualmente. Anzi! E in questo la rete e la comunicazione digitale ci aiuta molto. Il Papa ha accettato di vivere la comunità in modo diverso ed ha approntato altri modi di esprimere la sua vicinanza: la Messa a Santa Marta, l’Angelus, le Udienze in streaming uniscono abbattendo le distanze. Tutto questo fa capire che c’è un grande bisogno di pregare insieme anche trovando nuove modalità di aggregazione.
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