Integrated Tissue and Organ Printing System, è questo il nome del nuovo sistema di stampa 3D del Wake Forest Baptist Medical Center che produce tessuti “personalizzati” prendendo a modello le immagini ricavate da tac e risonanze magnetiche. Il centro di ricerca del North Carolina è specializzato in medicina rigenerativa, ossia quella branca della medicina che mira a ripristinare la funzionalità di parti del corpo umano danneggiate con tessuti e organi ottenuti in laboratorio con tecniche di bioingegneria.
Il centro ha impiegato circa 10 anni per mettere a punto questo nuovo metodo: il dispositivo funziona depositando strati di “inchiostro” biologico, composto da materiali biodegradabili, associati a una struttura temporanea di sostegno e a un gel a base acquosa, in cui sono immerse le cellule che daranno vita ai tessuti. All’interno del materiale viene posta una rete di micro-canali attraverso i quali passano i nutrienti e l’ossigeno necessari affinché il pezzo sia pervaso da un sistema di capillari sanguigni e possa essere integrato poi nell’organismo umano.
Ad oggi sono stati creati 3 veri e propri prototipi di “organi”– un orecchio, un pezzo di mandibola e un muscolo – ma si tratta di risultati preliminari. ”La tecnica permette di creare tessuti strutturalmente stabili e delle dimensioni adatte: ora – concludono i ricercatori – dobbiamo perfezionarla ulteriormente, anche per poter usare una più ampia varietà di cellule”. Un dato particolarmente rilevante è che queste strutture hanno dimensioni, resistenza e funzionalità che le renderebbero adatte all’applicazione nell’essere umano, ma per ora questi organi sono stati impiantati con successo solo nei topi e sembrano essersi integrati bene con i tessuti vicini, in particolare con i vasi sanguigni e i nervi.
Finora le tecniche di stampa in 3D convenzionali non hanno potuto produrre strutture di dimensioni adatte all’impianto nell’organismo umano. “Questa innovativa bio-stampante 3D rappresenta un importante passo avanti nella ricerca di organi di ricambio, poiché consente di produrre tessuti di qualunque forma – ha spiegato Anthony Atala, autore dello studio – e con ulteriori sviluppi, si potrebbero ottenere organi adatti ai trapianti”.
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