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Scegliere di morire o rifiutare di soffrire

Delicatissimo e impervio il terreno del fine vita. La giovane Brittany che si è spenta “per scelta” in Usa a causa di un grave tumore al cervello, ha generato discussioni interminabili sul suicidio assistito, e giovedì scorso dichiarava: “Mi fa male sentirmi criticare perche’ non aspetto piu’ tempo o perche’ non faccio quello che gli altri credono sia meglio per me” – “ogni mattina, per me, alzarmi dal letto e’ una sofferenza. Il mondo e’ un luogo meraviglioso, viaggiare e’ stato un grande insegnamento, i miei amici piu’ stretti sono stati tra i piu’ generosi. Diffondete nel mondo energia positiva”. Già ma Brittany con la sua scelta non ha contribuito a diffondere energia positiva, piuttosto ha diffuso confusione rabbia e battaglie tra chi pensa che la vita sia un contratto con la natura alla quale porre le nostre condizioni, più o meno legittime e chi non può concepire che la morte possa essere scelta con tanta facilità. Non c’è nulla di capriccioso, sono certissima che chi soffre dolori terribili è portato a concepire che prolungare il dolore rappresenti una sorta di autolesionismo ingiustificato. Ma anticipare la propria morte non è necessariamente la soluzione e non pare che sia stato attribuito dalla natura all’uomo. Ovvio, questo argomento si gioca sul possesso della fede.

L’uomo non è nato per sua volontà e anche la morte non arriva per suo volere. Se si riconosce di non essere fautori del tempo e della vita e si comprende che la vita è dono e la morte mistero, opporre il nostro volere a quello di chi ci ha creati appare sbagliato. Se poi si riuscisse a trascendere la questione strettamente legata alla fede di appartenenza, si paleserebbe chiaramente il rischio di fare diventare la morte una decisione azzardata, abbandonata esclusivamente alla nostra volontà. Piaccia o no, si creda o no, la natura non ci ha concesso che la parte più bella, il vivere.

Nascere o morire non possono essere vincolate alle nostre paure o al rifiuto a soffrire e trasformarsi nell’illusione tutta new age di poter chiudere gli occhi per non provare più dolore. Perché il dolore esiste e rifiutarlo significa ammettere che fa parte della vita, culti a parte. Un inganno pericolosissimo che si nasconde anche nelle espressioni dalla soave fonetica come “dolce morte” o “fine vita”. Il dilemma è tutto nella intelligenza umana di cui l’essere umano è stato dotato che lo fa disperare nella ricerca di una spiegazione al dolore e alla morte dolorosa. Non sappiamo se il dolore di queste persone serva a chi vive a farlo più intensamente né se è uno strumento di conversione proprio per riconoscerci creature imperfette. Il dolore esiste a dispetto dell’accanimento della medicina farmacologica e forse la risposta alla sua esistenza è proprio nella storia. Gli uomini e le donne illustri che hanno provato questo sentimento hanno sviluppato una capacità creativa straordinaria, giunta a noi attraverso opere divine. Tanti sono gli esempi di vita che nel dolore e nella paura hanno testimoniato un dono che l’eutanasia vorrebbe spegnere: il coraggio di affrontare il proprio destino.

Moira Schena

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