C’è un’Italia ideale e una reale. La prima è l’ologramma sfocato che la politica e le lobby cercano di proiettare nelle nostre menti, tra chiacchiere, risse e promesse vacue. La seconda è quella che sgomita, lotta e si batte ogni giorno per portare a casa almeno un tozzo di pane e un piatto di minestra calda. Giuseppe Scala fa parte di quest’ultima. La sua è la voce nobile di chi non si arrende davanti alle avversità, ma resta sempre attaccato a un briciolo di speranza.
C’era anche lui a Caserta lunedì scorso tra le centinaia di lavoratori della Jabil Circuit scesi in piazza per protestare contro il licenziamento collettivo annunciato dalla società. Una vicenda drammatica che riguarda lo stabilimento a Marcianise di una delle più grandi multinazionali americane nel settore dell’innovazione. “Un centro di eccellenza con professionisti molto qualificati” come lo definisce fieramente Scala. La presenza di un’azienda così importante è una straordinaria occasione di riscatto per un territorio che sta vivendo (per dirla con parole sue) una “drammatica desertificazione del lavoro”.
Non esistono mezze misure qui, e se a 45 anni (quanti ne ha Giuseppe) resti disoccupato puoi dire addio a ogni possibile nuovo impiego. “Non trovano lavoro i giovani figuriamoci uno della mia età” ammette rassegnato. Per i dipendenti della Jabil l’incubo è iniziato lo scorso dicembre “quando l’azienda ha paventato il licenziamento di 440 lavoratori su 760” racconta Nicodemo Lanzetta, leader della Fim-Cisl casertana. L’impresa mirava a ridurre il personale. Nell’ultimo periodo lo stabilimento aveva perso alcune delle sue commesse vinte per lo più da company asiatiche che garantivano le stesse prestazioni a prezzi inferiori.
La mediazione dei sindacati ha scongiurato questa possibilità, anche grazie all’intervento ai 160 lavoratori ammessi alla mobilità volontaria. Un sacrificio vano. Il 26 settembre 2014, infatti, la Jabil è tornata alla carica, aprendo unilateralmente le procedure per il recesso dai contratti di altri 382 dipendenti. “E’ stato un fulmine a ciel sereno – spiega Lanzetta – l’azienda ha dato un segnale forte: non vuole superare le 180 unità”. La protesta è stata immediata ma pacifica: un sit-in alla stazione del capoluogo campano e poi un’udienza in prefettura. Il prossimo passo è l’incontro al ministero dello Sviluppo Economico, perché la questione è anche politica. “Il governo deve salvaguardare i centri produttivi del nostro Paese. Tutte le aziende devono essere messe sullo stesso piano” chiede Lanzetta. Ma da Roma ancora tutto tace.
Intanto il tempo stringe: se la questione non sarà risolta entro l’11 dicembre la Jabil farà partire le lettere di licenziamento. Uno scenario che i sindacati stanno cercando di allontanare in ogni modo. “La mobilità collettiva deve essere ritirata – ci dice ancora il segretario della Fim-Cisl di Caserta -; in questo modo aumenterebbero i livelli produttivi e potremmo almeno arrivare a dei contratti di solidarietà”. Anche perché “arrivare a 180 dipendenti – aggiunge Lanzetta – significa abbandonare Caserta e l’Italia”. Un po’ come sta succedendo da nord a sud (dal Lingotto sino a Termini Imerese) in tutto il Paese. Frutto di una crisi implacabile, ma anche di una politica miope che spesso si riduce a intervenire quando ormai non c’è più nulla da fare. Uno schiaffo ai fondamentali diritti del lavoro.
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