L’Italia è ancora nel pieno della recessione come dimostrano tutti gli indicatori, i peggiori dell’Ocse,
che quotidianamente registrano la drammatica situazione economica e sociale del nostro paese. Non c’è stato finora un impegno straordinario sulla riduzione delle tasse, sui fattori di sviluppo, sulla riforma dei troppi centri di spesa incontrollati del nostro paese. Pensiamo al disastro delle aziende municipalizzate, allo scandalo delle trentamila stazioni appaltanti della pubblica amministrazione, all’autonomia regionale che è diventata il cuore degli sprechi, delle inefficienze e delle ruberie. Sei anni di crisi economica ci sono costati 900 mila posti di lavoro dal 2008 al 2013. E l’emorragia non è affatto finita, visto che nel 2014, secondo le stime della Cisl, almeno 140.000 lavoratori rischiano di essere espulsi dal ciclo produttivo.
Si parla astrattamente di “jobs act” ma si nasconde la testa nella sabbia di fronte a centinaia di migliaia di giovani costretti ad aprire una partita iva per lavori sottopagati e senza alcuna tutela previdenziale, così come accade anche a tanti co.co.pro. o associati in partecipazione. Questa è la vera precarietà da affrontare con grande coraggio. Il bonus fiscale, fin troppo strombazzato, di ottanta euro (in media sono stati 54 euro), pur essendo una boccata d’ossigeno per tante famiglie, non ha prodotto grandi effetti sui consumi, visto che è stato “mangiato” dall’aumento delle addizionali fiscali di regioni e comuni, raddoppiate ed in certi casi triplicate.
La lotta all’evasione fiscale è scomparsa dall’agenda politica. La via di uscita per un’Italia bloccata e in ripiegamento, con un Mezzogiorno totalmente abbandonato al suo destino, con i divari sociali crescenti, non può essere affidata ai soli margini di flessibilità che l’Unione Europea dovrebbe concederci nei prossimi mesi. Occorre un ruolo pubblico molto più marcato per rivitalizzare la domanda interna e soprattutto favorire gli investimenti drammaticamente crollati negli ultimi anni.
Ma tutto è fermo, immobile. Il Governo, da una parte blocca i contratti pubblici, dall’altra parte allunga le concessioni autostradali senza una operazione di trasparenza. Una vicenda davvero emblematica. Come è avvenuto in altre fasi difficili e complicate della storia italiana, servirebbe, soprattutto, il confronto e la collaborazione di tutti i soggetti responsabili che devono assumere impegni reciproci di carattere politico, imprenditoriale e sindacale. Ma il Governo non vuole imboccare la strada di un necessario patto sociale, l’unica strada per favorire la necessaria coesione sulle scelte difficili ed obbligate da intraprendere.
Ecco perché la Cisl si mobiliterà nelle prossime settimane: spiegheremo alla gente in tutte le piazze italiane le scelte discutibili del Governo ma con l’obiettivo di avviare un vero percorso di dialogo e di riforme. Non forniremo alibi al populismo, né a chi vuole rovesciare sull’intera rappresentanza sociale le contraddizioni tuttora aperte nella sinistra italiana.
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