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Amnesty al governo delle Filippine: “Stop alla tortura”

“Troppi agenti di polizia abusano del loro potere facendosi beffe del loro dovere di proteggere e servire i cittadini. Le leggi ci sono. Sta al governo applicarle, altrimenti rischierà di porre la polizia al di sopra della legge”. Sono le dichiarazioni di Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International che si trova a Manila per il lancio della campagna “Stop alla tortura” promossa da Amnesty International e voluta per fermare la tortura nelle Filippine. L’organizzazione umanitaria attacca pesantemente il governo di Manila e chiede come mai, nonostante l’adozione di una legge contro le torture, avvenuta cinque anni fa, non abbia cambiato la situazione all’interno del paese. Scariche elettriche, finte esecuzioni, waterboarding (cioè la simulazione d’annegamento), la semi-asfissia con buste di plastica, i pestaggi e gli stupri sono i metodi che ancora vengono usati per estorcere confessioni e denaro.

Come si legge nel rapporto reso pubblico oggi, spesso anche le forze dell’ordine usano il loro potere per “auto considerarsi” al di sopra delle leggi e quindi non essere puniti. Ma le leggi i sono, solo che non vengono fatte rispettare. “Le Filippine mostrano un’incoerenza: il paese è esemplarmente sollecito quando si tratta di firmare i trattati sui diritti umani ma senza esemplari condanne verso i torturatori questi impegni sui diritti umani rischiano di essere promesse vuote –spiega la Shetty – Il governo filippino sta perdendo l’opportunità di diventare un esempio virtuoso di impegno per il rispetto dei diritti umani in Asia”.

Non ci sono solo parole nel rapporto di Amnesty, ma anche alcune testimonianze – raccolte nel 2009 quando fu introdotta la legge contro la tortura – di persone che vennero torturate dalla polizia. Alcune di esse all’epoca erano minorenni e raccontano che sotto la minaccia di armi da fuoco, si erano dovute prestare a un gioco chiamato “la ruota della tortura”. Ma il caso più eclatante è quello di Darius Evangelista. In un filmato realizzato con un telefonino, si vede che l’uomo viene arrestato, spogliato dei suoi vestiti e delle guardie, alcune delle quali in borghese e altre in divisa, gli legano una corda ai genitali per torturalo. La testa dell’uomo venne ritrovata poco tempo dopo, ma nessuna delle guardie che hanno partecipato all’atroce esecuzione vennero condannate.

La Commissione per i diritti umani nelle Filippine è stata istituita nel 2001 e sono circa 457 le denunce che sono arrivate presso i suoi uffici, ma per nessuna di queste è mai stata emessa una condanna. “Dopo cinque anni dall’introduzione della legge, dopo centinaia di denunce e zero condanne, è dolorosamente ovvio che la normativa contro la tortura non viene applicata. – conclude Shetty – Occorre uno sforzo congiunto per sradicare la tortura e la cultura dell’impunità che la perpetua, a partire da misure efficaci di prevenzione e, quando non bastino, procedere con indagini approfondite, condanne adeguate e meccanismi indipendenti di denuncia per assicurare che nessuno sia al di sopra della legge”.

Manuela Petrini

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