«Assomigliate a sepolcri imbiancati»
«Simĭles estis sepulcris dealbātis»
XXI Settimana del Tempo Ordinario – Mt 23,27-32
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri».
La conclusione della severa denuncia di Gesù contro l’ipocrisia di scribi e farisei contiene forse la parola più dura che è dato trovare nei Vangeli: «Sepolcri imbiancati»! Gesù ci paragona a tombe con il belletto: siamo morti viventi ben incipriati. A pensarci bene, è la desolante verità. Ogni momento che passa, ci avviciniamo al nostro trapasso: il corpo che abitiamo inesorabilmente invecchia. Non solo il corpo però: ogni oggetto che costruiamo si usura, si logora, passa.
Quel che oggi è nuovo, domani è ineluttabilmente impolverato. Per non parlare poi delle relazioni e degli affetti: i figli crescono e i bimbi che erano non sono più; i matrimoni spesso sbiadiscono e nel caso peggiore si rompono; le amicizie si perdono. Davvero tutto è vano (Qo 1,14; 2, 11): gli sforzi per mantenere il proprio corpo giovane e sano, la cura per costruire affetti e legami, l’impegno per imparare, edificare, accumulare. Se solo solleviamo lo sguardo al di sopra del momento presente e lo lasciamo attraversare i secoli ed i millenni, cos’altro sembriamo se non miriadi di formiche che si danno tanto da fare, nell’illusione di poter arrestare l’acqua che sta per sommergerle o il passo che le schiaccia?
Ma il vangelo è l’annuncio di una buona notizia: siamo fatti per la vita, non per la morte (Sap 1,14; 2,23); per rinascere, non per invecchiare (Gv 3,3-4); per diventare cose nuove, che proprio ora germogliano (Is 43,19), e non per svanire. Siamo fatti per generare vita, come sorgenti zampillanti (Gv 4,14) o soli splendenti (Mt 17,2): la presenza rinnovata dei bambini, come il ritornare della primavera, ne sono un segno, un’anticipazione, un pegno. Nella misura in cui amiamo facendoci servi (Mt 20,28; Gv 13,4-5), svuotando noi stessi (Fil 2,7), benedicendo (Ef 1,3; 1 Pt 3, 9), non siamo morti viventi: abbiamo in noi la vita.
I sepolcri imbiancati si riempiono la bocca di dichiarazioni di intenti sul passato, su ciò che non è più, o magari anche sul futuro, su ciò che non è ancora, e condannano gli altri. I viventi nel Signore invece convertono sé stessi e le loro parole hanno la conferma immediata nel presente: l’amore infatti è credibile se non è rimpianto o promessa, bensì se è speso integralmente momento per momento.
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