«Non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta?» «Nonne dimittit nonaginta novem in deserto et vadit ad illam, quae periĕrat?»
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Chi sono le novantanove pecore? È interessante notare che, comunque sia, esse si trovano nel deserto: luogo inadatto per vivere per chiunque, tanto più per delle pecore. Un padre della Chiesa, Gregorio di Nissa, interpreta le novantanove pecore come la natura angelica, che non si è allontanata da Dio; in questo caso, si può intendere che tutti gli angeli rimangano nel deserto, fuori del banchetto, finché non sia stata ritrovata l’umanità perduta: il cielo non può far festa fin quando il figliol prodigo non sia ritornato alla casa del Padre (Lc 15,23-24). Tuttavia, considerando che Gesù si rivolge a scribi e farisei, e che alla fine dichiara che i novantanove giusti sono coloro che non hanno bisogno di conversione, nelle novantanove pecore si possono riconoscere anche i farisei, o meglio il fariseo che è dentro ciascuno.
Quant’è difficile, come fece Paolo, riconoscersi i primi tra i peccatori (1 Tm 1,15)! Quant’è difficile accettare di essere disarcionati dal cavallo della propria giustizia (At 9,4)! Quant’è difficile considerare gli altri sempre superiori a sé stessi (Fil 2,3)! Eppure, nella misura in cui tutto ciò non avvenga, il proprio cuore resta duro: l’esistenza continua ad essere condotta nel deserto, senza relazioni d’amore, rinchiusi nella condanna degli altri, se non anche di sé stessi.
La conversione da farisei a peccatori (Lc 18,11-13), da giusti a malfattori (Lc 23,35-41), può avvenire solo ai piedi della croce: di fronte a quell’amore si possono gettar via giustificazioni e maschere, orgoglio e presunzione, e nella propria povertà accettare di essere presi sulle sue spalle, sulle sue braccia distese, ed essere portati alla casa del cielo, introdotti nella gioia degli angeli e di quanti si sono lasciati rivestire dall’amore del Padre.
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