Come a Zolder, a Interlagos, a Brands Hatch e nelle altre dodici volte in cui vinse un Gran premio al volante del Cavallino: c'è la tuta della Ferrari indosso a Niki Lauda, nel giorno in cui la sua famiglia e il suo pubblico lo salutano per l'ultima volta. Le esequie del tre volte campione di Formula 1 si sono svolte a Vienna, nel Duomo di Santo Stefano, dove in mattianta è stata aperta la camera ardente. Un funerale in forma pubblica, dove chiunque ha potuto rendere omaggio a un pilota che riuscì non solo a entrare nel cuore dei tifosi con i suoi successi sportivi ma anche a superare una delle prove più difficili, dopo il terribile incidente del Nurburgring. In tanti a dare l'addio al fuoriclasse austriaco, tra campioni della Formula 1 di ieri e di oggi (Rosberg, Prost, Toto Wolff e Lewis Hamilton), le istituzioni austriache (fra le quali il cancelliere Kurz e il presidente Van der Bellen) e, naturalmente, sua moglie e i suoi figli, i quali hanno depositato sul feretro un casco rosso, lo stesso con il quale Niki vinse i suoi tre Mondiali e sul quale è inciso il suo nome.
Una foto di Lauda, sorridente, campeggia al centro della navata, ritraendolo così come lo ricordano tutti: sorriso, sguardo penetrante e cappellino rosso in testa. Un'istituzione nel mondo delle corse, attuale vicepresidente non esecutivo della Mercedes ma, in un certo senso, uomo-simbolo dell'intero paddock, legato ai suoi trascorsi alla Ferrari (anni in cui stabilì un rispettoso ma schietto rapporto con Enzo Ferrari) quanto a quelli in McLaren. Non è un caso che la scelta di essere sepolto con la tuta rossa di Maranello sia stata la sua. Un omaggio alla Scuderia che lo fece diventare grande e che, al contempo, contribuì a far crescere. Di certo, un simbolo lo era per i tifosi: nessun “computer umano” per loro, semplicemente un pilota in grado di dare spettacolo se e quando voleva, veloce ma prudente, in grado di calcolare i rischi e di valutare le condizioni della pista in ogni circostanza, senza per questo esser meno apprezzato di altri bolidi dell'epoca come Clay Regazzoni e il suo amico-rivale James Hunt. Anzi, per ironia della sorte, è stato proprio quel suo modo di fare così schietto e distaccato a valere quell'affetto incondizionato che, dopo tanti anni, lo ha accompagnato anche nell'ultimo viaggio.
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