Buongiorno, sono incappato nell’articolo sentito e approfondito di Marco Managò sullo stalking giudiziario, fenomeno a me finora sconosciuto formalmente, anche se la la mia famiglia lo sta subendo da alcuni anni.
Lo stalker, appoggiato da avvocati suoi amici correi, inonda le cancellerie dei tribunali, della Corte di cassazione, e la segreteria dell’ordine degli avvocati di denunce querele contro componenti della mia famiglia, ma anche i nostri legali, perfino i poliziotti che ne determinarono l’arresto anni fa ormai.
Il sottoscritto ha dovuto sospendere la propria attività lavorativa ma anche la propria vita sociale, per smontare i castelli di false accuse architettati dallo stalker, con dispendio di forze mentali e di soldi. I legali, impegnati al nostro fianco, non sembrano voler trovare una via d’uscita, forse perché siamo clienti d’oro… O forse perché la soluzione non c’è. Lo stalker si dichiara indigente, nullatenente, quindi anche le archiviazioni non portano a nessun risarcimento.
La detenzione, seguita a una severa condanna, non ha fatto che offrire allo stalker tempo per studiare il piano delinquenziale di vendetta e stalking giudiziario. Quello a cui mirano i suoi avvocati, con lui, è che sfiniti dalle spese legali ci arrendiamo a una transazione. “Quanto vuoi per smettere?”.
Possibile che non vi sia una soluzione per fare giustizia in modo equo? Grazie e complimenti per il lavoro egregio di comunicazione di servizio.
Riportiamo la testimonianza di un nostro lettore che ha chiesto l’anonimato
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