Spazio al lettore

Il respiro dell’anima è la preghiera

La pandemia covid-19 che ha segnato l’anno 2020 si è pure incrociata con altri fenomeni, quali la drammatica normalizzazione cinese di Hong Kong e la tragica vicenda del Black live matters negli Stati Uniti. In comune queste realtà hanno una strana cosa: togliere il soffio, bloccare il respiro.

Nel caso dei giovani estremo-orientali si tratta del soffio della libertà che essi sentono, giustamente, compromesso. I neri americani sono insorti dopo l’omicidio, il 25 maggio scorso, di George Floyd che fece suo il grido straziato “I can not breathe (“non posso respirare!”), mentre veniva soffocato dagli agenti di sicurezza. Il covid-19, lo sappiamo, è tristemente famoso proprio per il suo effetto asfissiante. Ormai, ad oggi, quasi un milione di persone sono state private della vita proprio a causa dell’impossibilità respiratoria. Morte atroce, morte del Cristo soffocato sulla croce.

L’importanza del respiro fisico e spirituale

C’è forse un mistero in questa pandemia che ci stimola a riflettere sul gesto più scontato, più banale, più immediato, del tutto irriflesso che facciamo costantemente; e che però ci mantiene in vita: il respirare. La nostra sussistenza è sospesa al ritmo stesso del mero assimilare ed esalare l’alito. Piccolo sacramento fisico che la nostra vita è tutta un ricevere e dare. Sarebbe opportuno che ci fermassimo un attimo ed imparassimo l’essenziale: siamo esseri di soffio, di respiro. La nostra intima fibra dipende da questo piccolo e continuo duplice atto: accogliere aria e riemanarla.

Al mondo della sanità e della medicina spetta di aiutare mediante tutti i metodi tecnici la respirazione fisica; ma non meno importante è, il riscoprire ciò che la tradizione spirituale (dai Padri del deserto sino ad un recente libro di papa Francesco) chiama la “respirazione” dell’anima: la preghiera. Da teologo mi preme sottolineare qui l’importanza decisiva non solo della pneumologia, ma anche della “pneumatologia”, la scienza dello Spirito Santo, maestro e anima della preghiera cristiana.

Non a caso, nelle tre lingue sacre, ebraico, greco e latino, la parola stessa “spirito” evoca il soffio, la brezza vitale, il vento. Ebbene, lo Spirito Santo è la vera “aria” che siamo chiamati a respirare per godere di salute spirituale. È urgente recuperare un’antica tradizione orientale (la hesychia: la ricerca della pace interiore), sviluppata soprattutto dal movimento monastico della Filocalia, specie nella versione ortodossa palamita, che invita alla costante “preghiera del cuore” o “preghiera di Gesù”: l’ininterrotta invocazione “Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore”. Non pochi maestri esortavano a praticare tale preghiera in corrispondenza con il moto della respirazione: inspirando si pronuncia l’appello al nome di Gesù ed espirando il seguito dell’invocazione. Certo sappiamo che la mera invocazione avulsa dalla quotidiana santità non salva (“non chiunque mi dice Signore, Signore…”) e che tale esercizio non ha nulla di meccanico, ma è piuttosto un cercare di assimilare lo spirito alla parola proferita (“mens concordet voci”).

La “preghiera nello Spirito”: “Gesù ! – Abbà!”

Se approfondiamo in senso trinitario questa stupenda metodologia eucologica orientale, eminentemente cristocentrica, riscoprendo la teologia biblica (e agostiniana) dello Spirito come comunione tra Padre e Figlio, possiamo e dobbiamo riproporre, oggi più che mai, la “preghiera dello Spirito” o “nello Spirito”. Si tratta della orazione costante animata dalla presenza dello Spirito Santo che è Spirito del Padre e del Figlio, Testimone personale e vincolo del loro amore e della loro comunione.

Lo Spirito del Padre che ci rivela il Figlio Gesù; lo Spirito del Figlio che si consegna al Padre. Partecipare a questo Spirito è anticipo del Cielo e Vita eterna. È questo il vero “respiro dell’anima”: l’invocazione continua (ad ogni inspirazione) del Nome di Gesù, alla quale segue, con l’espirazione, l’invocazione adorante del Padre-Abbà. Da un lato la vivificante memoria Jesu come accoglienza di Colui che comunica grazia e vita da parte del Padre; dall’altro, lo slancio di dedizione filiale verso Colui al quale tutto deve ritornare. Animati da questo Spirito diveniamo veri templi di Dio e luogo di liturgia spirituale. Invocare il Signore Gesù, aderendo a Lui “in un solo spirito”, esprime il culto di fede e speranza, di umiltà e gratitudine. Esclamare interiormente “Abbà-Padre”, esalando il soffio vitale, è adorazione di carità e di affidamento al Padre, Primissima Fonte di ogni dono.

Possa questo tempo di prova soffocante stimolarci alla meravigliata riconoscenza per la grazia fisica di respirare e di godere così della vita naturale come dono di Dio; ma anche ad obbedire al comando di Cristo di pregare sempre, riscoprendo la gioia e la bellezza del respiro interiore, cioè della continua “attenzione”, nello Spirito, al Figlio e al Padre suo.

Don Carlo Lorenzo Rossetti

redazione

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