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Cosa accade quando la politica arretra e avanzano i tecnici

La Stampa di mercoledì 3 novembre ospita in prima pagina un lucido intervento di Massimo Cacciari col titolo L’incompetenza dei tecnocrati che, con severa analisi, boccia i recenti anni di governo del pianeta che hanno visto affermarsi le competenze scientifiche per la soluzione di ogni problema, costringendo la politica ad arretrare ed a cedere il passo agli esperti, i quali hanno addirittura occupato le poltrone del comando, avanzando rispetto alla loro naturale funzione di consulenti. Cacciari non esita – con il senso ironico che lo distingue e l’affondo esplicito senza mezzi termini – a paragonare la pura tecnocrazia alla nascita di un cavalo alato, tanto sarà improbabile un sistema privo del ruolo politico dei governanti.

Tutti hanno assistito – e da più parti autorevoli sono giunte le inevitabili critiche – ad un G20 che ha spopolato in termini turistici e mediatici (e di costi di organizzazione e gestione) paragonabili ad una montagna che ha partorito appena il topolino del rinvio ad un’improbabile data futura dell’auspicio della soluzione di qualche problema: il mondo crolla e costoro siedono impettiti a celebrare se stessi, incapaci (si sospetta finanche volutamente) di rimediare se non addirittura di comprendere. Sono parole dure? Mai abbastanza per chi deve assistere impotente alla decantazione del nulla ed al disfacimento di valori conquistati nei millenni e radicate, oramai solo a parole, nelle costituzioni degli stati (art. 1 della Repubblica italiana: “la sovranità appartiene al popolo”)!

Ha ragione Cacciari nell’individuare il male che viviamo oggi nell’affidamento agli esperti e ai tecnici le scelte di governo e la legislazione degli stati; su quest’ultima possiamo dire con certezza che il Parlamento italiano vi ha abdicato oramai da almeno due decenni delegando al Governo (dei tecnici) la stesura delle leggi e quest’ultimo oramai la fa da padrone assoluto con il ricorso sistemico al voto di fiducia. Gli eletti, quindi, non contano più nulla: il Governo è scelto dal Presidente della Repubblica ed opera sulla fiducia che, se viene negata, comporta lo scioglimento del Parlamento col ritorno a casa. E gli uomini giusti scelti per governare non appartengono al ceto politico ma al mondo dei tecnici: sono i laureati con massimo dei voti (come se gli altri, magari dotati di maggiore senso critico, fossero incapaci), quelli che hanno conseguito i “master” (un prolungamento degli studi a spese degli sciagurati genitori), quelli nominati per capacità di asservimento!

Il disfacimento della politica, poiché la politica aveva il pregio di essere espressione di quel popolo sovrano che non avrebbe assecondato nessuno dei disastri (ecologico, ambientale, industriale, sanitario) a cui abbiamo dovuto assistere negli ultimi decenni ma aveva il difetto di non essere asservibile alla finanza, vera ingannatrice del mondo attuale.

E l’operazione nasce da lontano, giacché cominciò con la denigrazione dell’uomo politico relegato al ruolo di trafficante affarista portatore di interessi propri, ledendo l’immagine di pilastri ineguagliabili dello Stato che ressero la prima repubblica e furono ingiustamente travolti dal fango prodotto da chi si volle sostituire; è proseguita con la supervalutazione degli esperti, la cui verità può paragonarsi a quella della televisione, dimentichi che l’esperto esprime solo la modesta verità scientifica, insufficiente ad attuare le scelte necessarie al raggiungimento degli obiettivi che solo la visione politica può fornire.

Ecco, sembra che manchi la visione non solo del problema ma anche della soluzione tra le tante possibili, che è il compito ineguagliabile della politica, non certo del tecnico; il mondo del dopoguerra si è orientato alle scelte industriali, talvolta anche esasperate, per assicurare la ricostruzione e la crescita dopo gli orrori della guerra, ma il punto è stato raggiunto e superato e necessita una nuova valutazione degli obiettivi, che non possono essere quelli dell’arricchimento dei pochi grandi speculatori del mondo ma devono guardare alla salvaguardia del pianeta, alla eliminazione della fame nel mondo, alla salute degli abitanti. Nessuno di questi tre obiettivi è appannaggio dei tecnici ma occorre che le idee politiche siano orientate ad una visione globale che tenga conto della distribuzione delle risorse in base ai bisogni, della eliminazione di ogni forma di consumo indiscriminato del pianeta scollegata dalla sua antropizzazione operando scelte oculate tra i bisogni primari, che assicurino una sana ed efficace lotta alle malattie a tutela delle persone e non dei farmaci, scelte che solo la sana, vecchia e saggia politica può garantire.

Non occorrono più vetrine luccicanti a beneficio dei pochi che intendono mostrarsi ma servono le moltitudini di politici scelti dal popolo, attraverso le sezioni di partito, vere fucine di idee e proposte scaturenti dai bisogni concreti, che si facciano portatori di tali esigenze e si confrontino in quell’unica assemblea, il Parlamento, che consente di adottare le scelte legislative idonee ad incidere sul progresso del popolo. Tutto il resto è propaganda, ed il mondo l’ha bocciata più di trent’anni fa.

Roberto de Tilla: