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Il furto della Gioconda, la femme fatale di Leonardo Da Vinci

“E ora ridateci la Gioconda”. A chi di voi non si stampa un sorriso compiaciuto sul volto nel ricordare questo slogan?! Eppure i francesi sono innocenti, e la rocambolesca storia della Gioconda di Leonardo da Vinci, può confermarlo.

Era Lunedì 21 agosto 1911, giorno di chiusura del Museo del Louvre di Parigi, quando, alle sette del mattino, Vincenzo Peruggia si recò indisturbato nella sala dove si trovava “La Gioconda”. Staccò il dipinto dalla parete, tolse il vetro e la cornice e lo nascose sotto la sua giacca. Servendosi di un’uscita di servizio, si recò alla fermata dell’autobus e vi salì per poi scendere poco dopo essendosi accorto di aver preso la direzione opposta.

 

Chi era l’autore del furto della Gioconda

Peruggia, originario di un paese in provincia di Varese, era emigrato in Francia nel 1897 per svolgere il lavoro di imbianchino. Nel 1907 da Lione si era trasferito a Parigi, dove era stato assunto da una ditta con il compito di pulire le opere custodite dal Museo del Louvre.

 

I momenti dopo il furto

Tornato a casa Peruggia affidò il dipinto a un vicino di casa, temendo che l’umidità della sua casa potesse danneggiarlo e lo riprese con sé dopo aver costruito un’apposita custodia in legno. Intanto il giorno dopo al furto, due visitatori si accorsero della sparizione del quadro e allertarono il personale.

 

Le indagini

Si arrivò a sospettare del personale di operai temporanei che avevano lavorato in quei giorni al Museo. La polizia interrogò e perquisì la casa di Peruggia, ma non trovò il dipinto. Soltanto un paio di anni dopo, in risposta a un annuncio di un fiorentino che intendeva organizzare una mostra, sotto pseudonimo Peruggia scrive di possedere “La Gioconda”.

L’organizzatore gli propone di incontrarsi e proprio in questa occasione Peruggia verrà arrestato e condannato a un anno di prigione, poi limitati a otto mesi. La motivazione che lo aveva spinto al furto erano del tutto patriottiche, in quanto aveva creduto erroneamente che “La Gioconda” facesse parte delle opere italiane portate in Francia da Napoleone. In realtà il dipinto da lui scelto fu portato dallo stesso Leonardo in Francia e attestato nelle collezioni reali dal 1625.

Il processo

Si svolse nel giugno del 1914 a Firenze (nel frattempo, la Gioconda era già tornata al Louvre). Peruggia, al quale fu peraltro riconosciuta l’attenuante dell’infermità mentale e di conseguenza la sua mancanza di pericolosità per la società, fu condannato ad un anno e mezzo di prigione, ma la sua ingenuità destò simpatia nel pubblico che avrebbe voluto per lui una pena più indulgente.

La storia del quadro

Tra il 1502 e il 1503, Leonardo si trovava a Firenze e accettò di buon grado l’offerta del mercante Francesco del Giocondo. Questo, nel tentativo di ostentare la propria ascesa sociale, gli commissionò il ritratto della moglie, Lisa Gherardini.

Il mercante, però, non aveva fatto bene i conti con la risaputa mania di perfezione del maestro che lavorò al dipinto per ben quattro anni; nel 1507 lo portò con sé a Milano e continuò a ritoccarlo ancora fino al 1513.

 

Morale della storia

l ritratto non fu mai consegnato ai due coniugi del Giocondo, anzi nel 1517 prese addirittura la via della Francia. Leonardo lo portò con sé ad Amboise quando fu chiamato a lavorare come pittore di corte presso il re Francesco I. Dopo la sua morte la Gioconda entrò a far parte delle collezioni reali francesi. Poi fu trasferita di volta in volta nelle varie residenze dei sovrani succedutisi. Alla fine approdò nel museo simbolo della rivoluzione, il Louvre, senza destare particolare attenzione.

 

L’immagine della donna

Nell’immaginario collettivo la donna dal sorriso sardonico divenne l’emblema della sensualità femminile. Una femme fatale, avvolta da un alone di mistero e di alchimia, come del resto è successo per il suo autore, artista, scienziato, genio, quasi mago.

 

Rossella Avella

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