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Vigna Jacobini, 18 anni senza giustizia per il crollo dimenticato

Pochi ceri poggiati con cura sull’asfalto illuminano l’oscurità di una sera come tante al Portuense. Un gruppo di persone prega, qualcuno singhiozza sommessamente, altri guardano verso le lamiere che circondano il perimetro della voragine su cui un tempo sorgeva il civico 65 di via di Vigna Jacobini.

Era il 16 dicembre del 1998 quando, alle 03.06 del mattino, lo stabile implodeva in meno di tre secondi e mezzo risucchiando la vita di 27 persone, tra cui 6 bambini. Da allora il rituale si ripete ogni anno: la Messa in ricordo delle vittime alla “Sacra Famiglia” di via Tajani 10, una breve passeggiata verso il luogo della tragedia, un “Eterno riposo” scandito dal sacerdote e ripetuto meticolosamente da parenti e amici. Poi mani che si stringono, auguri di Natale e “arrivederci all’anno prossimo”. Con qualche ruga in più, magari un figlio, un matrimonio appena celebrato, o con una persona in meno.

Quest’anno, raccontano, se n’è andato Enrico Cancellieri, uno degli anziani del “Comitato Vittime del Portuense“, fondato pochi giorni dopo il crollo. Ha raggiunto i cari persi quella notte, tra cui la nipotina di un anno, senza riuscire a ottenere giustizia. Lo stesso vale per chi è rimasto e per chi ha deciso di non partecipare più alla commemorazione. “Siamo sempre di meno, inutile continuare” spiega un signore, che nel crollo ha perso entrambi i genitori.

Negli anni il Comitato non ha difettato di attivismo. Si è mosso in ogni sede possibile, da quelle giudiziarie a quelle amministrative, ha organizzato spettacoli teatrali, incontrato decine di esponenti politici tra cui 4 sindaci. Risultato: niente. Il processo non ha accertato a pieno le colpe e le iniziali condanne si sono tramutate, tra Appello e Cassazione, in altrettante assoluzioni e prescrizioni. Unici colpevoli? I materiali di costruzione. Eppure qualcuno non è d’accordo. “Le pareti erano solide, ricordo che non riuscivamo a mettere i chiodi per i quadri” dice un altro dei presenti.

Al buco nell’acqua processuale si è aggiunto quello amministrativo. Proprietari ed eredi delle vittime oltre al dolore hanno dovuto subire un’ingente perdita economica. Senza colpevoli il risarcimento non è stato, ovviamente, accordato. Restano i diritti sul terreno, per il quale il Comitato si batte da anni. Tante promesse e zero fatti. La solita litania all’italiana. E mentre il dinosauro della burocrazia si muoveva a passo di lumaca prima di riassopirsi la natura faceva il suo corso, trasformando la voragine in selva. Una vergogna a cielo aperto con cui i residenti sono costretti a convivere ogni giorno. In una Roma che s’indigna per le luminarie natalizie di piazza Venezia e fa spallucce davanti al dolore.

Luca La Mantia

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