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Stranieri d’Italia

“Un fatto di civiltà”. Così il premier Matteo Renzi ha definito l’insieme dei diritti civili che il suo governo vorrebbe varare entro il 2015. Tra questi c’è anche il riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli degli immigrati nati nel Bel Paese. Una questione su cui si discute in modo sterile da anni. Tra barriere ideologiche e facile buonismo trovare una soluzione condivisa è complicato. C’è chi vorrebbe l’applicazione dello Ius Soli (è italiano chi nasce in Italia) e chi, invece sostiene il mantenimento dello Ius Sanguinis. L’esecutivo propone uno “Ius Soli temperato”: si diventa cittadini al termine del primo ciclo scolastico. Ma la soluzione è lontana. Così come lo è per la concessione del diritto di voto agli stranieri regolari.

Uno stallo che, mai come in questo caso, sembra confliggere con la realtà. Perché quello dell’immigrazione non è più un fenomeno limitato. I grandi flussi degli anni 90 e 2000 hanno prodotto un risultato con cui dobbiamo imparare a convivere. I nuovi italiani lavorano nelle nostre aziende, si istruiscono nelle nostre scuole e, in generale, contribuiscono a migliorare l’economia dello Stivale. Sono i numeri a testimoniarlo: secondo un rapporto dell’Istituto per lo Studio della Multietnicità l’1 gennaio 2014 gli stranieri registrati in Italia erano 5 milioni e mezzo, cioè 500 mila in più rispetto al 2013. Una popolazione che lo stesso studio definisce “21esima regione d’Italia”.

E in effetti il dato demografico supera quello del Veneto (4 milioni e 914 mila abitanti) e della Sicilia (5 milioni). La composizione è variegata: tra i comunitari la componente maggiore è quella dei romeni (cresciuti del 350 % negli ultimi 5 anni). Marocchini e albanesi sono, invece, i più diffusi fra coloro che provengono da Paesi situati oltre i confini dell’Unione Europea, seguiti da cinesi, ucraini e filippini. Diversi sono i fattori alla base dell’incremento dei numero di cittadini esteri residenti nel nostro Paese. Il più rilevante è quello del ricongiungimento familiare. Ma aumentano anche le nascite (nel 2013 sono state 78 mila) e gli sbarchi (43 mila lo scorso anno). Proprio quest’ultimo trend ha fatto registrare un’impennata del 300% negli ultimi 10 mesi. Sinora sono arrivate 150mila persone, il doppio del 2011, l’anno in cui le primavere arabe generarono un ampio flusso proveniente dal Nord Africa.

E tuttavia, nonostante cresca il numero di clandestini, la quota degli immigrati irregolari è decisamente bassa. Solo il 6% non ha un permesso di soggiorno. Gli anni 90 (quando questo dato toccava il 50%) sembrano appartenere ad un’altra epoca storica. Così come la mentalità di alcuni italiani, che continuano a guardare con sospetto gli immigrati, ritenendoli portatori di ogni male. Fa specie, in particolare, la veste quasi parassitaria che, agli occhi di tanti, essi assumono. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone in cerca di fortuna, che fuggono da situazioni di miseria e precarietà. E che valutano molto bene il Paese di destinazione.

L’Italia non sembra essere più una meta particolarmente gradita. L’ultimo dossier specifico immigrazione (Idos) del’Ufficio Nazionale anti discriminazioni razziali parla chiaro: negli ultimi due anni oltre 575 mila permessi di soggiorno non sono stati rinnovati. Tra questi spiccano quelli per motivi di lavoro. Segnale che la crisi si sta mangiando la nostra immagine. Non siamo più l’America del Mediterraneo e i migranti lo sanno. Forse, accecati da pregiudizi e discriminazioni, abbiamo anche commesso l’errore di sopravvalutarci.

Luca La Mantia

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