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Referendum bis, c'è il sì dei Labour

E'andata più o meno come aveva predetto Jeremy Corbyn nella giornata di ieri, quando aveva dato il suo assenso alla valutazione dell'ipotesi di un referendum-bis per la Brexit, delegando il tutto alla decisione della conferenza di partito. Scelta che, puntualmente, è arrivata: il Partito laburista ha dato l'ok a una mozione per richiedere un nuovo voto ai cittadini britannici, anche se vincolato alla prospettiva delle generali anticipate. E' andato tutto così, come il leader lab aveva in qualche modo previsto: richiesta del nuovo referendum (anche se Corbyn si è sempre detto in disaccordo sull'ipotesi) ma anche elezioni anticipate. Il tutto, ovviamente, dovrà tenere conto degli esiti dei negoziati fra Londra e Bruxelles. La questione è piuttosto semplice: se May dovesse mai trovare un accordo con l'Ue e presentare il suo accordo in Parlamento, i Labour potrebbero votare in modo sfavorevole aprendo così lo spiraglio (a quel punto enorme) di un voto anticipato “lasciando di riserva tutte le altre opzioni”, referendum compreso.

La posizione Tory

Come era fino a qualche ora fa, tutto si giocherà sulle mosse di Theresa May che, dopo il flop di Salisburgo, si trova stretta fra i fuochi del governo ombra e quelli del suo stesso partito, ora costretto più che mai a fare fronte comune nonostante le divergenze interne sulla questione hard o soft Brexit. Dagli addii di Johnson e Davis, che hanno segnato il punto di non ritorno fra brexiteers puri e non, le cose non sono state per nulla facili per la premier che, nonostante un periodo tutto sommato tranquillo (anzi, con addirittura qualche prospettiva di accordo con Bruxelles) ha dovuto fare i conti con il freno dell'Unione su troppi punti del suo programma e, dall'altro lato, con le reticenze dei suoi (oltre che dell'opposizione) a troppe concessioni pur di arrivare a un accordo.

Scenari diversi

Dopo Salisburgo, la stessa May era uscita allo scoperto affermando come fosse meglio non arrivare a nessuna intesa piuttosto che averne una poco conveniente per tutti. La verità è che arrivare al 29 marzo senza un accordo in tasca potrebbe far tremare in modo estramamente destabilizzante l'esecutivo britannico, perché separarsi dall'Ue senza aver raggiunto punti d'intesa su alcune questioni cruciali sarebbe un colpo durissimo, sia per l'una che per l'altra parte. Nel frattempo, il leader lab Corbyn ha mostrato nuovamente come, al di là del pronunciamento del Congresso, le posizioni sul nuovo referendum restino ancora ambivalenti. Su come voterebbe in caso di nuovo pronunciamento, infatti, ha spiegato di “non poter dare una risposta” in quanto si tratta di “una domanda ipotetica”. La questione principale riguarda principalmente il “come” fare il nuovo eventuale referendum, ossia se chiedere ai cittadini britannici di dire la loro sulla Brexit in sé o semplicemente sulle modalità con le quali farla.

Mattia Damiani

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