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Iraq in fiamme, quanto incidono le differenze di fede

Le semplicificazioni non si attagliano al quadro geo-religioso e geopolitico iracheno”, spiega a In terris il diplomatico di lungo corso, ben introddotto negli ambienti diplomatici dell'area, che conosce da vicino i complicati equilibri di fede nel paese mediorentale dove ha operato per molti anni e nel quale sono nuovamente divampate le fiamme di un conflitto internazionale che da tre decenni non si sono mai spente del tutto.

Autonomia

“E' un errore pensare che la maggioranza sciita irachena, già duramente sottomessa alla minoranza sunnita durante il regime di Saddam Hussein, accetti di buon grado di diventare subalterna all'Iran, paese contro il quale è stata combattuta lungo tutti gli anni Ottanta una devastante guerra da un milione di morti- aggiunge-. Le autorità religiose sciite di Baghdad sono gelose della loro autonomia teologica e operativa rispetto agli ayatollah di Teharn: esprimono propri partiti politici con una notevole consistenza elettorale e non hanno alcuna intenzione di ridursi a protettorato iraniano”. Il tessuto sociale iracheno, inoltre, è “fondato su appartenenze a clan e ha una struttura tribale che si esprime in milizie munite di proprie allenze internazionali”.

Come in Libia

Per la dittatura laica di Saddam Hussein, “in modo non dissimile dal regime di Gheddafi in Libia“, prosegue il diplomatico, “la fede islamica era più un abito generico che una reale condivisione di fede” e perciò per la minoranza sunnita al potere le altre minoranze come quella cristiana (che dal 2000 ad oggi si è ridotta da 1,5 milionia 230 mila fedeli)  erano funzionali al punto da esprimere il vice del Rais, Tareq Aziz. Inoltre, proseguendo con la similitudine con la Libia, “un Iraq unito malgrado le profonde divergenze interne rappresenta un boccone fin troppo ghiotto per le potenze dell'area”. Con la guerra in Iraq George W. Bush, osserva Repubblica, ha fatto un grande favore all'Iran, che ha potuto estendere la sua influenza sul paese vicino con cui aveva combattuto dal 1980 al 1988. Il suffragio universale arrivato in Iraq con gli americani ha dato il potere alla maggioranza sciita della popolazione irachena, in precedenza perseguitata durante la dittatura di Saddam Hussein. L'Iran ha potuto così sfruttare i legami con diverse fazioni sciite irachene mentre gli americani riducevano progressivamente la loro presenza politica e militare. L'Iraq è così diventato terreno di scontro tra Usa e Iran, ma anche del più ampio conflitto in Medio Oriente tra sunniti e sciiti, le due principali confessioni islamiche, un conflitto che ha ragioni geopolitiche e non solo religiose. Da una parte Arabia Saudita, Egitto e indirettamente Stati Uniti e Israele, dall'altra Iran, la Siria di Assad, gli Hezbollah libanesi e i ribelli huthi in Yemen.

La cornice costituzionale

In base alla Costituzione irachena del 2005, l’Islam è la religione ufficiale di Stato e una “fonte della legislazione“. Secondo l’articolo 2 nulla può contraddire l’Islam, i principi della democrazia e i diritti e le libertà costituzionalmente riconosciuti. Secondo l’articolo 372 del codice penale del 1969, insultare credenze, pratiche o simboli religiosi, nonché individui considerati santi, venerati o riveriti è un reato punito con la reclusione fino a tre anni o l’imposizione di sanzioni pecuniarie. Per legge, nove seggi su 329 del Consiglio dei Rappresentanti (camera bassa del Parlamento) sono riservati ai membri di gruppi minoritari: Bagdad, Ninive, Kirkuk, Erbil e Duhok hanno ciascuno un seggio riservato per un cristiano; per uno yazida; per un sabeo o un mandeo; per uno shabak. Nella provincia di Wasit è riservato anche un seggio per un curdo. I risultati delle elezioni generali del maggio 2018, le prime da quando il governo iracheno ha annunciato la sconfitta di Isis hanno comportato un’ulteriore instabilità nel Paese, attesta Acs: “La libertà religiosa in Iraq risente di profonde fratture confessionali che non scompariranno in tempi brevi”.

Giacomo Galeazzi

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