Nuova strage in Siria. Stamane, ad Azaz (o A’zaz), cittadina in mano ai ribelli del nord al confine con la Turchia, è esplosa un’autobomba che ha causato la morte di almeno 60 persone e il ferimento di altre 50. Numeri riportati dall’agenzia turca Anadolu, che cita fonti ospedaliere locali.
L’esplosione è avvenuta in un mercato che si trova di fronte a un tribunale islamico della città; sei delle vittime, riporta L’Osservatorio siriano per i Diritti umani che aveva parlato di almeno 43 morti sarebbero ribelli, ma la maggior parte sono civili. Il direttore dell’Osservatorio, Rami Abdel Rahman, ha anche aggiunto che l’identificazione delle vittime è resa difficile dal fatto che alcuni corpi sono stati completamente bruciati nella deflagrazione.
L’attentato non è stato finora rivendicato, ma è probabile che sia opera del sedicente Stato islamico. Secondo Osama al-C, un avvocato che si trovava sulla scena al momento dell’esplosione, “questo tipo di crimini sono commessi soltanto dal gruppo terroristico di Daesh” (acronimo arabo per Isis). “Loro – spiega – prendono di mira i civili e i gruppi che stanno costruendo questo Paese”. Anche diversi gruppi di ribelli hanno attribuito l’attacco all’Isis che sta cercando di avanzare verso Azaz, cittadina che dista solo 30 chilometri a nord-nordovest da Aleppo e che permetterebbe la fuga dei miliziani verso la Turchia e, da lì, verso l’Europa.
Nelle ultime settimane Azaz è diventato il centro di raccolta di molti civili e ribelli armati evacuati da Aleppo in base all’accordo tra Russia e Turchia che il 30 dicembre ha portato all’inizio di un cessate il fuoco esteso a tutta la Siria. Una fragile tregua concordata da regime e ribelli con la mediazione di Mosca e Ankara che però non include i jihadisti dell’Isis e l’ex affiliato di al Qaida, Fateh al-Sham Front, considerati gruppi terroristici e perciò ricercati a livello internazionale.
Nonostante la tregua in atto, si continua a combattere in diverse zone della Siria. Ieri alcuni elicotteri hanno bombardato la Valle di Barada, pochi chilometri a nord-ovest della capitale, zona altamente strategica perché vi proviene la maggior parte delle risorse idriche per la capitale. Il governo del Presidente Bashir al Assad si è rivolto all’Onu accusando i ribelli di “crimini di guerra e crimini contro l’umanità” per avere interrotto i rifornimenti, lasciando senza acqua oltre quattro milioni di persone; ma gli insorti respingono le accuse al mittente, affermando che sono stati i bombardamenti lealisti a causare i danni e la carenza idrica che va avanti da giorni.
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