A Vicenza, fino all’8 aprile, è possibile intraprendere un vero e proprio viaggio nell’anima del pittore olandese, Vincent Van Gogh. Una grande mostra, allestita nei meravigliosi spazi della Basilica Palladiana di Vicenza, e intitolata “Van Gogh. Tra il grano e il cielo”, presenta 129 capolavori, 43 oli e 86 disegni, prestiti eccezionali dei maggiori musei del mondo (primo fra tutti il Kroller-Muller Museum di Otterlo), tanto che il valore assicurativo delle opere esposte arriva a 1 miliardo e 100 milioni di euro.
L’iniziativa è patrocinata da Marco Goldin, che con un investimento di 4,5 milioni di euro è riuscito a realizzare una grande impresa: ricostruire, quasi giorno per giorno, le attività del pittore olandese. “È una mostra rara – spiega Goldin che ha già ricevuto 115.000 prenotazioni -, le opere stesse in questo percorso diventano come le pagine del diario di una vita”, complessa, sofferta, approfondita dallo scambio di lettere con il fratello Theo, da cui emerge tutto il suo doloroso sentire, ma anche i sogni e i progetti concreti, il passo dei suoi progressi, la malattia. “Per tre anni disegna soltanto – aggiunge -: non sono bozzetti preparatori, bensì opere finite in sé, guardando alle tele di Millet e ai pittori della Scuola dell’Aia“.
È l’estate del 1880 quando Van Gogh annuncia al fratello l’intenzione di voler diventare un artista. I primi cinque anni di formazione si svolgono prima in Belgio (il Boriage) e quindi in Olanda: Etten, l’Aia, il Drenthe, Nuenen, dove il giovane Vincent affina le tecniche e acquisisce quel bagaglio figurativo e di immagini che tornerà nei dipinti realizzati a Parigi, Arles, Saint-Remy e Auvers-sur-Oise, quando inventa il colore nuovo della modernità. Se gli inizi sono contraddistinti da un grande impegno nel disegno, allo stesso modo il percorso espositivo parte da quelli splendidi della collezione del Kroller-Muller Museum di Otterlo, fondato dai primi collezionisti di Van Gogh. E, come riporta l’Ansa, anche i soggetti coincidono: sono i contadini, gli zappatori, i minatori, un’umanità umile e misera, con cui Van Gogh entra in contatto seguendo il padre pastore protestante. Il primo olio è del 1981, una natura morta dal titolo “Cappello di paglia“, e proprio all’Aia intreccia una relazione sentimentale che lo segnerà profondamente. Ritrae la compagna, una ex prostituta, la madre, la sorella, la “Ragazza con lo scialle” dallo sguardo sfuggente, che arriva al cuore. Ancora disegni che immortalano vecchi o mangiatori di patate negli anni di Nuenen, incredibili teste di donne che documentano la vita dei contadini e nature morte. La svolta arriva con il viaggio a Parigi, il contatto diretto con impressionisti e post impressionisti, con un uso della luce e del colore che elaborerà attraverso una poetica interiore unica e rivoluzionaria.
Le sale della mostra cominciano così a illuminarsi dei dipinti più belli e famosi. Dal “Ponte di Langlois” del 1888, alle grandi raffigurazioni del parco della casa di cura di Saint-Remy (ricostruita in un plastico che occupa un’intera sala) ai campi di grano, di papaveri, ai vigneti.
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