Era il 10 giugno del 1940 quando in una serena giornata estiva, quando nulla faceva presagire il peggio, Benito Mussolini decise di pronunciare quel fatidico discorso che di lì a poco avrebbe fatto scendere l’Italia in guerra. Indossò l’uniforme di caporale d’onore della milizia, con una sahariana vistosa e pesante e parlò a mezza Europa. Alle ore 15.00 gli altoparlanti presenti agli angoli delle piazze d’Italia emisero le prime voci di prova. Subito dopo l’appello all’adunata: “Stasera, alle ore 18, dal balcone di Palazzo Venezia, Benito Mussolini parlerà al popolo italiano”. E puntualissimo, appena furono le 18, la vetrata si aprì.
Mussolini, Dichiarazione di guerra – 10 Giugno 1940 – video editato da Matteo Pasotto
Come tutti sanno, in quel giugno 1940 la Seconda guerra mondiale era già scoppiata da nove mesi (settembre 1939) con l’invasione tedesca della Polonia. Come mai l’Italia non entrò in guerra l’anno precedente, allo scoppio del conflitto a fianco dell’alleato tedesco col quale si era legata indissolubilmente qualche mese prima con la firma del Patto d’Acciaio (22 maggio 1939)?. Durante i nove mesi di incertezza operativa, il Duce, impressionato dalle folgoranti vittorie tedesche ma conscio della grave impreparazione militare italiana, rimane a lungo incerto sulle decisioni da prendere, oscillando tra la fedeltà all’amicizia con Adolf Hitler, l’impulso a rinnegarne la soffocante alleanza, la voglia di indipendenza tattica e strategica, il desiderio di facili vittorie sul campo di battaglia e la brama di essere ago della bilancia nello scacchiere della diplomazia europea. Si ricordi, tra l’altro, che il 1º settembre 1939, a seguito dell’attacco tedesco contro la Polonia, il capo del governo Benito Mussolini, nonostante un patto di alleanza con la Germania, dichiara la non belligeranza italiana.
Per il duce era scattata “l’ora delle decisioni irrevocabili”. Per prima cosa bisognava comunicare l’imminente dichiarazione di guerra ai diretti interessati, perciò nel primo pomeriggio di lunedì 10 giugno 1940 Galeazzo Ciano, ministro degli Affari Esteri (nonché genero del duce) fece convocare a Palazzo Chigi l’ambasciatore francese André François-Poncet e quello britannico Percy Loraine e lesse loro la dichiarazione di guerra: «Sua Maestà il Re e Imperatore dichiara che l’Italia si considera in stato di guerra con…» eccetera, eccetera. I due ambasciatori ascoltarono la dichiarazione imperturbabili; anche loro non potevano aspettarsi altro.
Alle 15.00 la voce metallica scandì le sue prime parole: “Combattenti di terra, di mare, dell’aria, Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate! L’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria, l’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano. L’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano”. Il discorso terminò con la celebre frase: “La parola d’ordine è una sola… vincere… e vinceremo”.
“Guerra, guerra” furono le parole che si levarono dal popolo, c’era entusiasmo ma non si vedevano i volti di coloro che sapevano che nei mesi successivi avrebbero perso la vita, i volti strazianti di padri coscienti che avrebbero rischiato di non rivedere più la propria moglie, che non avrebbero visto crescere i propri figli. C’era davvero tanta paura anche se in quel momento sembrava che una parte del popolo non attendesse altro che quella fatidica dichiarazione di guerra.
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