Ho incontrato un’amica che è andata in pensione dopo 44 anni di contributi, lavorando nel ministero Beni Culturali, ma non era contenta, anzi insofferente rispetto ad alcune decisioni governative. Il motivo della sua contrarietà? Andare in pensione da questo mese, ma iniziare a perceperire gli assegni fra una decina di mesi. Mi sono chiesto come fosse possibile una cosa così penalizzante, e lei mi ha risposto che accade per recuperare spazi per coloro che anticipano l’andata in pensione con la cosiddetta quota cento.
Ho compreso, in definitiva, che chi va prima in pensione con l’aiuto del recente provvedimento, pur avendo lavorato meno, aiutato dalla legge fatta ad hoc, riceve l’assegno prima, chi invece ci va con la legge ordinaria deve aspettare. C’è qualcosa di illogico ed anche ingiusto in questa situazione: ancor più se con le norme per fare largo ora a questo, ora a quello, la stessa persona che si lamentava con me, mi ha ricordato che le ingiustizie non finivano li. Infatti ha denunciato anche l’imbarazzante circostanza di andare in pensione e di percepire il primo acconto del tfr (la buonuscita) solamente dopo due anni. Valutando queste anomalie, mi è venuto alla mente Cicerone che protestava con il prevaricatore Catilina, dicendo: “Quousque tandem abutere Catilina, patientia nostra?”
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