Sociale

Odissea: un viaggio per l’inclusione sociale dei disabili

La disabilità è una condizione di vita che comporta delle ripercussioni non solo sulla persona che la vive, ma anche sulla stessa rete familiare. Il disabile ha delle necessità che vanno ascoltate e capite e solamente da una profonda comprensione possono nascere dei percorsi di autostima e di affermazione in una società moderna, che nonostante le tante parole al vento, dimostra di non essere in grado di includere chi manifesta un problema.

L’intervista

Di questo Interris.it ne ha parlato con Giovanni Oliveto, presidente della Cooperativa Odissea, nata nel 2019 con l’obiettivo di favorire le relazioni tra le persone con disabilità e disagio psichico nel territorio di Roma e nelle zone limitrofe. Odissea infatti è presente nel Lazio con due sedi nella capitale, una a Formello e l’ultima nata, a Palombara Sabina, per un totale di quaranta ragazzi coinvolti.

Giovanni, che cosa è il viaggio di Odissea?

“Si tratta di un viaggio verso l’inclusione totale di chi è affetto dal disturbo dell’autismo all’interno del tessuto sociale che non sempre è aperto ad accogliere le esigenze di queste persone. Noi crediamo molto nel valore della cittadinanza, intesa come la possibilità per tutti indistintamente di poter vivere la città e di fruire dei suoi servizi, per una raggiungere una piena dignità e il diritto all’autodeterminazione in tutti i contesti di vita. Per questo motivo i nostri progetti hanno la caratteristica di essere strettamente interconnessi con il territorio di riferimento e i ragazzi vivono pienamente i parchi, i locali, le scuole, gli esercizi commerciali e i centri di aggregazione”.

Che cosa ostacola l’inclusione?

“Dal pregiudizio che una persona con disabilità non possa raggiungere determinati obiettivi. Questo atteggiamento distrugge l’autostima di chi ha un problema e lo mette nelle condizione di non provare a mettersi alla prova. Noi di Odissea invece, lavoriamo proprio su questo aspetto, cerchiamo di capire e di far emergere le capacità dei nostri ragazzi e di renderle pubbliche, in modo tale da cambiare anche l’idea errata che la società si è creata. Dopo un primo periodo di accoglienza e di osservazione viene strutturato l’intervento che mira alle capacità e alle abilità del ragazzo autistico. Noi operatori abbiamo il delicato compito di preparare ogni persona a poter affrontare la società esterna e ciò significa che anche la semplice cena in pizzeria deve avvenire quando il ragazzo autistico è in grado di mantenere un certo comportamento”.

La legge Dopo di Noi è davvero così fondamentale nella vita di un disabile?

“Si tratta di una legge molto importante perché non si sofferma a guardare e a sanare l’emergenza del presente, ma mette al centro della propria azione il futuro della persona. Tutto ciò riguarda però solo le famiglie che davvero hanno accettato la disabilità del figlio e che dunque ci permettono di lavorare nel modo più completo ed efficace per il bene della persona in difficoltà. Nel caso invece, la famiglia non abbia accettato, la sua presenza diventa un ostacolo molto difficile da oltrepassare e il nostro intervento, nella maggioranza dei casi, non riesce”.

Si dice che i primi veri problemi nascono dopo aver raggiunto la maggiore età. Che cosa accade in quel momento?

“La famiglia cade nella disperazione perché, una volta compiuti i 18 anni finisce il percorso scolastico e lo scenario che si apre è quello del nulla. Molti di questi ragazzi hanno qualche ora settimanale di assistenza domiciliare e poi sono costretti a frequentare i centri di salute mentale, con liste di attesa lunghissime, in cui vengono trattati come pazienti da curare e non vengono aiutati con obiettivi personalizzati al raggiungimento della propria affermazione e autonomia personale. Noi vogliamo essere un’alternativa valida e costante al settore pubblico che purtroppo ad oggi non è all’altezza dei bisogno di questi ragazzi e delle loro famiglie”.

Molto spesso si assiste a una offerta molto vasta nelle grandi città, mentre le realtà più piccole rimangono isolate e sole. Come nasce la vostra attività anche nella provincia di Roma?

“Tutto è nato all’indomani di un intervento che abbiamo fatto un un ragazzo di Palombara Sabina, che dopo aver girato per tanti centri di natura sanitaria, ha trovato in noi un futuro di speranza. Alla luce di questo abbiamo deciso di dare una risposta valida a tutte quelle famiglie che vivono fuori dalla città, ma che hanno pari diritti degli altri. Gli ostacoli che abbiamo affrontato sono molti perché non è facile trovare un immobile adeguato anche dal punto di vista della metratura e i fondi necessari per garantire a tutti di poter accedere alla retta mensile. Si tratta di un percorso molto lungo e tortuoso, ma vi garantisco che vedere la serenità negli occhi di questi ragazzi e delle loro famiglie è uno degli aspetti più gratificanti del nostro continuo impegno”.

Elena Padovan

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